Luganese

Condannato per ricatti targati ‘luci rosse’

Inflitti 15 mesi di prigione sospesi per due anni a un 38enne che ha tentato di estorcere denaro ai frequentatori dei postriboli del Pian Scairolo

Il ricattatore ‘pescava’ le vittime fra i conducenti frequentatori di postriboli
(Ti-Press/Archivio)
9 settembre 2022
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"Ho delle foto compromettenti di te al postribolo, versami mille franchi (in bitcoin) o sarà la tua famiglia a chiederti spiegazioni". Questo, a grandi linee, era il "modus operandi" dell’uomo condannato oggi alla pena di quindici mesi di carcere, sospesi condizionalmente per un periodo di prova di due anni, dalla Corte delle Assise correzionali di Lugano, per estorsione ripetuta, in parte tentata e in parte aggravata. Nella procedura di rito abbreviato, la condanna è stata concordata dalle parti, tra il patrocinatore d’ufficio Mattia Cogliati e la pubblica accusa sostenuta dalla procuratrice Petra Canonica Alexakis, ed è stata confermata dalla giudice Francesca Verda Chiocchetti.

Solo una persona ha pagato

L’autore, incensurato, ha inviato lettere estorsive a nove clienti di locali erotici, dopo aver scattato loro foto compromettenti. Rintracciava generalità e indirizzo tramite la targa della loro automobile, posteggiata fuori dai postriboli, dopo una rapida ricerca sul sito internet della Sezione della circolazione, chiedendo loro di versare somme tra i mille e i duemila franchi sotto forma di bitcoin, entro il termine di tre giorni, minacciandoli d’inviare ai loro familiari le immagini incriminate, in caso di mancato pagamento. La minaccia però, non si è mai concretizzata. Otto persone ricattate non hanno dato seguito alle richieste, nonostante alcune avessero pure ricevuto delle lettere di "richiamo". Una, invece, la cui moglie aveva poi ricevuto una missiva a lei indirizzata ma senza foto compromettenti del marito, gli ha versato mille franchi.

Un piano quantomai ‘facile’

Per quale motivo l’imputato ha tentato di estorcere soldi da sconosciuti? «Ero in difficoltà a livello finanziario, avevo debiti e, a causa del Covid, alcuni miei progetti professionali non sono andati in porto», ha risposto il 38enne, dicendosi pentito. «Ma come mai ha scelto questa "soluzione"?», gli ha chiesto la presidente della Corte, Francesca Verda Chiocchetti. «Perché, mi sembravano soldi ‘facili’». Il suo piano non appariva oggettivamente difficile da realizzare. Bastava infatti scattare qualche foto, recarsi al parcheggio dei locali a luci rosse per annotare i numeri di targa dei veicoli delle future vittime del ricatto, in seguito recuperare nome e cognome degli automobilisti in questione tramite il sito internet della Sezione della circolazione, e farsi pagare discretamente online.

Dati personali accessibili a tutti

Questo piano non gli sarebbe apparso facile senza, da una parte, l’accessibilità del suddetto sito, che permette di risalire agevolmente, e in modo anonimo, ai proprietari di automobili e dall’altra, senza l’esistenza della criptovaluta, in quanto sarebbe risultato problematico recuperare le somme richieste mantenendo l’anonimato. Alla luce di questo episodio di rilevanza penale, ci si potrebbe chiedere se sia opportuno, non foss’altro che per prevenzione, che il sito della Sezione consenta a chiunque, e quindi anche a malintenzionati, senza alcun controllo, ritenuto che non v’è alcun ostacolo all’accesso di questi dati, di entrare nella vita privata dei conducenti. Ci si può peraltro chiedere quale sia l’interesse pubblico perseguito nel rendere accessibili liberamente a chiunque questi dati personali.

Vero è che ogni automobilista può chiedere di essere tolto dall’elenco pubblico delle targhe. Se ne deduce che chi non lo fa, acconsente tacitamente a rendere questi suoi dati accessibili. Con il senno di poi, chi, come i suddetti clienti, non desidera essere rintracciato, avrebbe interesse a farlo.

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