Luganese

Uccise i genitori, Maestrini ottiene il regime stazionario

Il 45enne, detenuto in una struttura a Ginevra, è tornato davanti ai giudici dopo la condanna del 2005 per duplice omicidio. La Corte ravvisa cambiamenti

Da internamento a regime stazionario
(Ti-Press)
3 maggio 2022
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Dopo 17 anni è tornato davanti ai giudici Orfeo Maestrini, oggi 45enne, dopo che il 7 aprile 2005 venne condannato a 7 anni di carcere e all’internamento in una struttura chiusa per il duplice omicidio dei genitori, avvenuto il 30 gennaio 2004 nella villa di Magliaso, con l’uso di una mazza e un coltello, mentre era sotto l’effetto della cocaina e degli psicofarmaci, è comparso nell’aula principale del tribunale di Lugano. Il caso, senza precedenti in Ticino, ha visto stamane l’udienza della Corte delle Assise criminali – presidente il giudice Mauro Ermani (allora presidente fu la giudice Agnese Balestra-Bianchi) – alla presenza del detenuto, rinchiuso in una struttura di Ginevra dopo aver scontato la pena. Scopo: determinare se Maestrini, come richiesto dal suo avvocato, Stefano Pizzola, potrà beneficiare di un cambiamento del regime restrittivo: dall’internamento allo stazionario, che contempla progressivamente congedi accompagnati e non accompagnati, questi ultimi solo su decisione del giudice dei provvedimenti coercitivi (gpc). Ebbene, dopo un lungo interrogatorio di Maestrini per valutarne le condizioni, la Corte ha deciso di accordare la modifica, dall’ex articolo 64 del codice penale all’articolo 59.3.

È il primo caso di riesame sull’internamento per un tribunale ticinese

Il giudice Ermani ha commentato: «Questa è la prima volta che un tribunale è chiamato a chinarsi a sapere se l’internamento è ancora una misura adeguata. Si tratta di un cambiamento della sentenza. Ci sono dei punti fermi: il primo è la farmacologia, la seconda è la capacità di richiedere aiuto e la terza è la pazienza. Lei – ha detto il giudice rivolgendosi al 45enne – ha preso coscienza: sa che ha una malattia e sa che può essere curata con i medicamenti e che deve continuare a prenderli. Sui reati lei è sempre stato trasparente. Non si giustifica pertanto più un internamento secondo l’ex articolo 64. Lei è partito da un regime di quasi non guaribilità (art. 46), per cui il percorso è stato lungo e sarà ancora lungo. Ma il nuovo regime di detenzione potrà concederLe progressivamente dei congedi. È un inizio di apertura».

La premessa è che sia l’istanza del 18 ottobre 2021 della difesa sia quella del giudice dei provvedimenti coercitivi concludono con la richiesta di modifica della misura. Maestrini ha espiato la pena di 7 anni inflittagli allora dalla Corte e da allora si trova nella struttura di massima sicurezza di Ginevra. Il 45enne in mattinata è stato a lungo interrogato sulle proprie condizioni a 18 anni dai tragici fatti dal giudice Ermani, che è anche presidente della Commissione detenuti pericolosi. Maestrini è tornato sull’agghiacciante duplice delitto.

Come passa le giornate nella struttura di Ginevra? «Lavoro. La mia giornata tipo, un giorno lavoro in lavanderia, un altro mi occupo di una voliera, della pulizia e cura dei volatili, mi occupo del negozio. Siamo una ottantina nella struttura, incluso l’ospedale psichiatrico. Per 5 anni ho svolto una scuola di cultura generale». Maestrini settimanalmente ha spiegato di frequentare regolari sedute con lo psicologo, con lo psichiatra e con un infermiere e di svolgere sedute di gruppo.

Lei anela a un cambiamento della misura restrittiva, quali sono le sue relazioni sociali?, ha chiesto il giudice. «Ho una compagna di 42 anni, era detenuta anni fa con me e oggi è in un foyer. La mia fidanzata sa perché io sono rinchiuso. La guardia mi concede colloqui a video, a distanza». A seguito di questa relazione ha avuto problemi? «In effetti la vita di coppia in carcere è difficile. C’è gente che si mette tra te e la tua compagna. Sei ripreso costantemente dalle guardie, la vita diventa complicata. Ci siamo innamorati. Ma quando io sono passato alla struttura 5 e lei è rimasta alla 4, lei è andata in depressione. È stato difficile per entrambi».

Pensa di costruire un futuro con la sua compagna? «Sì, mi immagino un futuro tranquillo con lei in Svizzera francese. Avere un gatto o un cane». In una struttura più aperta? «Sì. Mi piacerebbe avere un lavoro ma sono stato operato alla schiena lo scorso anno. Potrei lavorare in un laboratorio protetto. La mia situazione finanziaria? Buona. Continuo a pagare alle vittime dai 10 ai 20 franchi al giorno».

‘Vorrei fare qualcosa per i familiari per riparare, ma non so cosa’

Maestrini ha spiegato di avere contatti telefonici con il padrino, con l’ex maestro delle elementari, con la zia paterna («Lei mi ha detto, non ti perdono per quello che hai fatto, ma non ti abbandono come nipote»). Ha dichiarato ancora il 45enne, evocando il duplice omicidio dei genitori. «Mi chiedo cosa poter fare, ai familiari, per togliere loro il dolore. Vorrei fare qualcosa, ma non so cosa posso fare».

«Quali disturbi psichiatrici ha?», ha chiesto il giudice. «Soffro di schizofrenia affettiva e ho un disturbo borderline. Assumo psicofarmaci. Se non li prendessi non starei bene. Devo prenderli sempre. Mi sono reso conto che è la mia malattia a farmi stare male». Quali emozioni prova ripercorrendo con gli psicologici i tragici fatti del 2004? «Tristezza, angoscia. Mi mancano i miei genitori. I ricordi». Discute con gli psicologi delle cause, dei motivi? A quali conclusioni è giunto? «Le cause. Io ho una malattia, sono stato ospedalizzato 22 volte in clinica psichiatrica, anche perché prendevo la droga, ma non ero ospedalizzato per questo. È perché ero malato. Avevo un manco. La droga mi ha rovinato, la mischiavo con farmaci e alcol. Sono andato in depressione. Un bel giorno sono scoppiato e ho ucciso i miei genitori. Il fatto è che non volevo ucciderli. Ma la malattia mi ha fatto prendere quella decisione. Volevo suicidarmi anch’io ma non ci sono riuscito. Perché uccidere i miei genitori? Volevo andarmene con loro, ma il fatto è che quando sono tornato a casa dall’ospedale erano molto depressi. Era inverno, il 30 gennaio, mi sembra che ci fosse la neve. Ho visto un nero, non so come mai, non sono riuscito ad avere la forza di cambiare l’idea che avevo nella testa. Pensavo fosse la droga, ma era la malattia. Mi ha preso questa idea e la sera li ho uccisi. È triste».

Il rischio di recidiva – indicano le nuove perizie psichiatriche – è di livello basso. E se si trovasse in difficoltà come agirebbe?, lo ha incalzato il giudice. «Chiederei aiuto. Ma io avevo avuto 22 ricoveri prima dei fatti, avevo chiesto aiuto. Guarire non guarirò, avrò sempre la mia malattia, potrò migliorare». Questa cosa l’ho vissuta sulla pelle, non voglio più fare una cosa del genere. Quando sentirò il bisogno di chiedere aiuto lo chiederò. Il tempo è cambiato».

Cosa si aspetta dall’udienza di oggi?, ha chiesto il presidente della Corte. «Mi aspetto il cambiamento dell’articolo 59.3 per poter pian piano avvicinarmi a dei foyer. Avere dei congedi. Non bisogna avere fretta, occorre fare le cose per bene. Uscire preparato. Vorrei fare qualche passo verso l’esterno. Non tornerò in Ticino» ha dichiarato il detenuto. Il procuratore pubblico, Moreno Capella, che seguì il caso sin dal giorno dell’arresto di Maestrini, ha aderito all’istanza di cambiamento di regime carcerario, dopo aver «constatato un cambiamento» nel detenuto. Ha dichiarato, dal canto suo, l’avvocato Stefano Pizzola: «La strada è in salita e sarà lunga e difficile, ma un cambiamento di regime carcerario vuole essere un segno che Maestrini si è impegnato per fare un cambiamento». A Maestrini, prima che la Corte si riunisse in camera di consiglio, è stata concessa l’ultima parola. «Voglio dire a tutta la mia famiglia, alle mie sorelle, che sono dispiaciuto. Me ne pento e mi scuso. Non chiedo per forza il perdono».

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