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Monitorare i pazienti Covid da casa: da Massagno una prima

Intervista al dottor Luciano Anselmi, fra i creatori della sorveglianza ambulatoriale di pazienti Covid-19 a domicilio: una frontiera della telemedicina

Il dottor Luciano Anselmi, nella centrale cantonale di allarme di Ticino Soccorso (Ti-Press)
16 settembre 2021
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Pandemia, periodo difficile e di crisi. Ma anche di nuove idee, possibilità, invenzioni. È quest’ultimo il caso della ‘Sorveglianza ambulatoriale di pazienti Covid-19 a domicilio’. Una novità tutta ticinese: il sistema di controllo a distanza dei parametri vitali quali saturazione d’ossigeno e frequenza cardiaca per pazienti a rischio affetti da Covid è stato infatti messo a punto da HospitHome Sa, con sede a Massagno. Una frontiera della telemedicina, ambito nel quale è specializzata la società e grazie al quale ha vinto anche il prestigioso Novartis Grant per le start up per uno studio effettuato sui pazienti oncologici Covid-positivi, sempre a domicilio. Ne abbiamo parlato con il dottor Luciano Anselmi, membro del Consiglio d’amministrazione di HospitHome.

Come funziona, concretamente, la ‘Sorveglianza ambulatoriale di pazienti Covid-19 a domicilio’?

La prescrizione dell’apparecchio è medica. Quindi spetta al medico spiegare al paziente risultato positivo al Covid l’esistenza di questa possibilità. È necessario che il dottore verifichi dapprima se il paziente ha o meno dei rischi potenziali e nel caso questi siano presenti ma non al punto da esigere un’ospedalizzazione, può decidere di lasciarlo a casa, ma monitorandolo. In tal caso, il medico ci contatta mandandoci la prescrizione e noi inviamo l’apparecchiatura. Le casse malati riconoscono la prestazione tecnica. Si tratta di un monitoraggio continuo per dieci giorni. I dati vengono trasmessi in tempo reale alla centrale di Ticino Soccorso 144. Lì tramite un algoritmo viene stabilita la gravità del paziente e l’eventuale necessità di intervenire (visita del medico curante, ospedalizzazione o altro, ndr). Si tratta di un apparecchio piccolo, semplice da utilizzare, la parte più difficile è l’attivazione del bluetooth. L’ossimetro pulsatile esiste da decenni, si può comprare su internet. Il valore aggiunto è dato dal medico curante che dà l’indicazione e che può accedere ai dati del suo paziente e soprattutto dal fatto che se lui è impossibilitato e/o la situazione è critica si è legati ventiquattr’ore su ventiquattro alla centrale.

Com’è nata l’idea?

Di telemedicina si parla già da tanto tempo. Durante la prima ondata di Covid si è creata la necessità di ospedalizzare quei pazienti con un potenziale di rischio sulla vita. La pandemia ci ha dato la possibilità di avere una massa critica di pazienti ed è quindi stato possibile verificare la sicurezza del sistema. Lo abbiamo già utilizzato su oltre cinquecento persone e ci ha permesso di scremare i ricoveri: un 20-30% di queste persone sarebbero sicuramente state ospedalizzate, ma invece hanno potuto essere curate a casa in sicurezza.

Quali vantaggi ha?

Il fatto di accorgersi per tempo della mutazione di determinati parametri permette non solo di evitare il ricovero tout-court, ma anche – in quei casi nei quali un peggioramento implica per forza un’ospedalizzazione – di ridurre il rischio di un decorso grave della malattia polmonare e delle relative complicazioni intervenendo precocemente. Pensiamo a pazienti con una sintomatologia che loro non sono in grado di riconoscere, a cominciare ad esempio dalla perdita della capacità di immagazzinare ossigeno dall’aria e portarlo in circolo. In definitiva, permette di intervenire tempestivamente e di ridurre la mortalità e la morbilità, ossia le patologie legate alla malattia. Dobbiamo considerare inoltre che il domicilio è il luogo dove il paziente sta meglio. Pensiamo ad esempio a quei pazienti che vanno in ospedale semplicemente per essere monitorati perché vi è il rischio che possano peggiorare. Il ricovero in ospedale può in taluni casi provocare delle difficoltà di orientamento e degli scompensi, che sono evitabili. Infine, il domicilio è anche il posto dove per le casse malati costa meno.

Che potenziale di sviluppo c’è per la telemedicina?

Questa tecnologia si può senz’altro applicare in futuro a tutta una serie di altre tipologie di pazienti e questo è un nostro obiettivo. Se ci limitiamo al saturimetro, sono tutti quegli ambiti nei quali i pazienti possono avere un disturbo della respirazione, a cominciare dalla polmonite. Può essere utile anche per pazienti cronici. In questi casi tuttavia la prestazione non è riconosciuta dalle casse malati. Ci stiamo lavorando, speriamo entro un paio d’anni di poterci arrivare. Siamo fiduciosi, si tratta di una tecnologia che ha un margine di risparmio notevole per loro. Abbiamo invece ottenuto il riconoscimento dell’Ufficio federale della sanità e siamo stati aggiunti alle prestazioni di base delle assicurazioni malattia con effetto retroattiva dal 1° giugno per la Sorveglianza ambulatoriale di pazienti Covid-19 a domicilio.

Altri ambiti?

Un altro aspetto sul quale stiamo riflettendo è la carenza di medici curanti nelle zone periferiche. Ricoverare delle persone, degli anziani in particolare, soltanto magari per una questione di distanza, è un peccato. Questo è un ambito nel quale la telemedicina potrebbe dare ottimi frutti. Un ulteriore progetto di espansione potrebbe riguardare le ambulanze, per evitare di sollecitarle se non necessario. E poi c’è tutto il coté relativo alle dimissioni dall’ospedale. Pensiamo ad esempio al postoperatorio, diversi pazienti teoricamente già dopo 24-48 ore dall’intervento potrebbero essere dimessi ma devono restare in ospedale per una questione di monitoraggio. La telemedicina permetterebbe loro di andare a casa molto prima, che è nell’interesse sia delle persone sia degli ospedali.

In ogni caso, la sicurezza è garantita.

Sì, certo. Il monitoraggio è come in ospedale, anzi meglio. Gli algoritmi sono molto sicuri, permettono un intervento mirato. A differenza che in ospedale, non è il paziente a dover suonare la campanella, ma questa si attiva da sola se i valori scendono.

D’accordo, l’allarme si attiva autonomamente. Ma tornando al tema delle regioni periferiche, il problema della lontananza rispetto al paziente degente in ospedale rimane.

È vero, ma dipende tutto dalla tipologia di paziente. Se devo monitorare un paziente con un infarto acuto, non lo manderò a casa. Il servizio è pensato per quelle patologie non molto dipendenti dalla velocità d’intervento. Per le malattie polmonari è diverso: il paziente può star bene, ma avere già dei sintomi che necessiterebbero di una terapia. Si tratterebbe quindi di interventi precoci, prima che il paziente si senta male, evitando in alcuni casi di ospedalizzarlo. È questo il grosso vantaggio. La tecnologia non mette a rischio il paziente, dipende tutto dalla valutazione medica.

La risposta di medici e strutture ospedaliere com’è stata?

Ottima, decisamente superiore alle aspettative. Molti feedback dicono che facilita il lavoro e che dà la certezza medica di non ospedalizzare determinati pazienti. L’adesione è buona.

HospitHome è nata nel 2019, prima del Covid. Con che intento?

Sin dall’inizio occuparsi di telemedicina. Fare ricerca, e – come in questo caso concreto – promuoverla, applicarla. Il nostro target riguarda principalmente determinate fasce della popolazione, come ad esempio i pazienti cronici. L’idea ora sarebbe quella di estendere la tecnologia a livello nazionale.

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