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Tiziano Zünd e la montagna, oltre l'impresa storica

Il medico ortopedico sui passi della conquista del Gasherbrum avvenuta nel 1981 che, insieme a Romolo Nottaris, aprì la via all'alpinismo himalayano svizzero

Romolo Nottaris e Tiziano Zünd
6 agosto 2021
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«Il 3 agosto proprio non lo ricordavo più. Certo avevo in mente l'anno...». Tiziano Zünd ha l'umiltà di un vero uomo di montagna. Quel 1981 conquistò in puro "stile alpino", insieme a Romolo Nottaris, il Gasherbrum, uno dei quattordici Ottomila della Terra, aprendo la via all'alpinismo himalayano svizzero. Eppure a parlargli è come farlo con chi la domenica mattina si alza e, combattendo con forza l'attrito del divano, decide di fare una passeggiata, giusto per scansarsi qualche senso di colpa. «Con Romolo ci siamo visti proprio il giorno dell'anniversario, sotto ai Denti della Vecchia. Era giusto per raccontarcela. Quando ci incontriamo abbiamo sempre questi vecchi ricordi... è troppo bello... spesso ci commuoviamo anche un po'». 

Nottaris, il 3 agosto 1981 era già un affermato alpinista, ma Tiziano Zünd, medico nel Luganese, come ci è arrivato lassù, a 8'035 metri?

Deve calcolare una cosa, che il sottoscritto nel 1981 la medicina non sapeva ancora cosa fosse... avevo 23 anni. Ho cominciato con Romolo sui 15-16 anni con le gite del Club alpino svizzero. Romolo, dodici anni più di me, era già guida alpina. Con lui, con cui ho stretto subito una forte amicizia, ho conosciuto altri alpinisti e ho cominciato a interessarmi di montagna e a scalare. Sa com'è... si comincia dal Basodino, dall'Adula, poi si passa al Cervino, poi al Bernina e al Palü, finché nel 1978 Romolo mi disse se non avessi avuto voglia di andare al Pumori. Quel 7'161 metri, al confine fra Nepal e Tibet, diventò la nostra prima spedizione. Eravamo una quindicina, in cima siamo arrivati la metà. Da lì il mio interesse per l'Himalaya è cresciuto, tanto che nell'81 abbiamo deciso di tentare un Ottomila in stile alpino. Partimmo senza dire niente a nessuno, e la medicina era ancora in là da venire. 

Uno studente affascinato dalle alte vette. E poi?

Avevo smesso di andare alla Magistrale per andare al Pumori e per tre-quattro anni avevo deciso di fare solo montagna. I miei la presero malissimo, mentre io non ci pensai due secondi. Da domani, mi dissi, non vado più a scuola! Cominciai così a fare qualche lavoretto alla Pina Petroli, andavo in giro con il camion della nafta, facevo un po' di tutto per guadagnare i soldi necessari per partire. Allora vivevo a Rivera. Ritornato dalla prima spedizione feci altre cose. Poi vi fu l'Ottomila. Solo in seguito, dopo altre esperienze, mi dissi che non potevo andare avanti solo di montagna, così feci la maturità, e poi l'università.

L'ascensione del 1981 fu definita storica. Perché proprio il Gasherbrum?

Volevamo fare come prima spedizione un Ottomila non proprio impegnativo ma "abbastanza facile", fattibile insomma, anche perché lo volevamo tentare in "stile alpino". A quei tempi senza bombole, senza portatori d'alta quota, senza campi già prefissati e senza corde fisse, e soprattutto come prima esperienza, non potevamo pensare di attaccare subito un K2 o un Makalu, così decidemmo per il Gasherbrum, che è un bell'Ottomila, in una regione fantastica come il Baltoro, al confine fra Pakistan e Cina. 

Certo che dire 'Ottomila facile'...

Chiaro! Facile rispetto agli altri, uno di quelli, spieghiamolo in questo modo, che ci avrebbe dato più possibilità di riuscita. Allora in stile alpino c'era riuscito Messner, noi siamo stati fra i primi nel mondo e primi in Svizzera. Esserci riusciti significa che abbiamo fatto la scelta giusta.

Seguirono altri Ottomila?

Gli anni successivi iniziai a studiare. Nell'83 sempre con Romolo tentammo l'Everest dal versante nord-tibetano ma non riuscimmo ad arrivare in cima. Poi seguirono altre volte in Himalaya. Nell'89 abbiamo tentato con il parapendio il Broad Peak, ma mi sono fermato a 7'400 metri. Dopo questa intensa fase di montagna è arrivato lo studio e il matrimonio. Ho continuato a fare montagna un po' con Romolo e un po' con mia moglie. Successivamente sono arrivate le mie figlie, oggi di 26 e 28 anni. Specialmente Tessa è fortissima in montagna, ha studiato sport a Losanna, insieme abbiamo fatto le classiche del Monte Bianco, del Monte Rosa, e ora non ci sto più dietro. Una passione che ha anche l'altra figlia, arrampica, fa scialpinismo. E facciamo tanto ancora in famiglia: vacanze in Engadina, andiamo a sciare. Pur praticando anche il mio lavoro, che amo molto, resto attivo e cerco di tenermi in forma.

Con la sua professione, è specialista in Chirurgia ortopedica e Traumatologia dell’apparato locomotore, ne avrà visti di pazienti che con la montagna hanno avuto un rapporto particolare?

In effetti ho operato diversi amici con cui ho trascorso delle bellissime giornate in montagna, uno di questi è proprio Romolo e il suo... ginocchio.

Uomo e montagna, quale parole utilizzerebbe per descrivere questo speciale incontro?

In tutti questi anni ho imparato una cosa molto importante: la montagna non è solo 'andare', raggiungere la cima e conquistarla, ma anche guardarsi intorno. Intendo il vedere, capire e osservare tutto quello che hanno fatto i nostri antenati sulle nostre montagne, dove non andavano come lo facciamo noi, che alla sera siamo tranquilli nella nostra casa, ma che vivevano fra difficoltà e precarietà... pensiamo a quello che hanno fatto per sopravvivere con le loro bestie. La Val Bavona è un esempio bellissimo, la Valle Foioi, ben descritta nel libro di Giuseppe Brenna, è un'altra dei tanti esempi di quello che facevano. In fondo lì c'era la vita, si doveva andare in montagna per la sussistenza, non potevi stare al piano ma salire in quei miseri pascoli, eppure cosa hanno costruito! Sentieri, scalini, luoghi affascinanti come il Gasherbrum. Il nostro territorio è di un bello! Sono stato diverse volte in Himalaya, ma guardi che anche le nostre montagne compongono un territorio affascinante, ricco di storia: queste cascine, questi alpeggi, sono di un incredibile!

Cosa ha provato quel 3 agosto 1981 guardando il mondo dal suo 'tetto'?

Per un alpinista arrivare, a quel tempo, lassù significava organizzare con un anno di anticipo la spedizione ed essere pronto fisicamente e mentalmente. Poi una volta là fu una cosa bellissima! Di bello c'era anche che per tre mesi, più o meno, non avevi alcun contatto con i tuoi genitori, con la tua famiglia, non c'erano i satellitari. Certo c'era un certo rischio da una parte, e dunque era impegnativo, ma dall'altra, sapersi 'soli' era affascinante. Quando arrivammo in cima, dopo il brutto tempo e la neve, che ci hanno bloccato al campo base per settimane, è stata un'emozione indescrivibile.

Quanto ha contato nella sua vita, aver fatto parte della Storia?

Io sono un po' il contrario di Romolo, lui espansivo io più chiuso, non mi piace raccontare. Allora quel viaggio l'ho fatto perché lo sentivo dentro. Devo ammettere di essere arrivato al momento giusto. Romolo ha organizzato tutto, era il fratello maggiore, ho avuto questa fortuna. Sì, ero preparato, mi sono allenato per questo, ci tenevo tanto ma devo ringraziare lui. Ho avuto, in fondo, due grandi maestri. Per quello che è stato l'alpinismo Romolo, con lui ne ho approfittato, gli ho rubato il mestiere. Professionalmente ho incontrato una persona paragonabile a lui, un dottore che mi ha insegnato tutto quello che si doveva sapere dell'ortopedia. Io ne ho solo raccolto i frutti e tornato in Ticino ho avuto tantissime soddisfazioni. Ancora oggi, i miei pazienti sono costretti ad avere pazienza in sala d'aspetto... perché, con gli appassionati, per dieci minuti parliamo di ginocchi ma poi tanto di montagna.

 

 

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