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Molino, Pedrazzini: ‘Nel 2002 sgombero, ma anche dialogo’

Intervista all'ex consigliere di Stato, direttore del Dipartimento delle istituzioni ai tempi dello sgombero dell'autogestione dal Maglio

Luigi Pedrazzini, capo del Dipartimento Istituzioni nel 2002 quando fu sgomberato il Maglio di Canobbio (sullo sfondo, dopo la chiusura) (Foto: Ti-Press)
18 marzo 2021
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Muro contro muro. Questa la situazione attuale fra Città di Lugano e Centro sociale autogestito (Csoa) Il Molino, a seguito da ultimo dei recenti tafferugli per l'8 marzo alla Stazione Ffs. E sebbene da più parti si levino appelli ad abbattere questi muri e a tornare a dialogare, l'aria che tira non è delle migliori. Il Municipio ha solo posticipato una decisione su un eventuale sgombero – o comunque su altre misure in quella direzione, come la disdetta della convenzione –, mentre il Csoa promette battaglia. Un contesto che ricorda per sommi capi quello del 2002, quando gli autogestiti furono sgomberati dal Maglio di Canobbio e quando fu firmata la convenzione che concesse loro l'utilizzo dell'ex Macello. Per rievocare similitudini e significative differenze con quel periodo, abbiamo intervistato l'allora direttore del Dipartimento delle istituzioni, Luigi Pedrazzini.

Che ricordi ha di quel periodo? L'aria che si respira le sembra la stessa?

È difficile fare un confronto fra la situazione attuale e quella di allora. Mi sembra tuttavia che ai tempi non vi fosse la contestazione che gli autogestiti avessero diritto di esistere e di avere uno spazio. A essere molto contestato era il luogo dove si trovavano, ossia il Maglio di Canobbio. Un posto che, da diversi punti di vista, non appariva come la soluzione ideale per ospitare i molinari. C'era un'opposizione forte da parte del Municipio e della popolazione di Canobbio, comune della cintura urbana di ridotte dimensioni che non aveva gli strumenti per gestire una realtà come l'autogestione. Questo ha giustificato l'intervento del Cantone e del Dipartimento che conducevo. L'esperienza al Maglio si concluse con uno sgombero, però era una situazione nella quale già prima si prospettavano possibili soluzioni alternative. E infatti due mesi dopo era già stata firmata la convenzione.

C'era quindi un dialogo.

Sì, non era stato un dialogo facile ma c'era stato, ad alcune riprese si era svolto anche negli uffici dipartimentali. In uno di questi incontri ricordo di aver fatto da mediatore fra la Città e gli autogestiti e il Comune aveva mandato a rappresentarli i due municipali per certi versi più estroversi: Giovanni Cansani e Giuliano Bignasca. Il fatto che Lugano fosse rappresentata da due municipali slegati dagli schemi già loro stessi, e quindi più in grado di comprendere l'autogestione, ha giocato un ruolo significativo. Questo ha fatto sì che non si parlasse in politichese: erano politici molto concreti e questo ha favorito il dialogo con gli autonomi. E poi le discussioni si erano focalizzate sul posto da destinare all'autogestione, non ricordo che qualcuno abbia mai messo in dubbio la legittimità del Molino. C'era poi stato lo scoglio della rappresentanza: gli interlocutori fra i molinari cambiavano costantemente e inizialmente non volevano farsi rappresentare da nessuno, poi era stata trovata questa soluzione con la costituzione di un'associazione (Alba, ndr). Ostacoli, sì, ma non insormontabili perché il messaggio che non si desiderava cancellare l'esperienza dell'autogestione era chiaro. Quindi il dialogo c'è stato ed è stato di successo e c'è una convenzione lì a dimostrarlo: un atto che non è venuto dal nulla. 

Negli ultimi mesi ad aver alzato la tensione sono state delle manifestazioni. Si ricorda qual è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso portando allo sgombero del 2002?

Non c'erano state particolari manifestazioni né disordini. La presenza al Maglio era tuttavia una situazione di illegalità, non c'era una convenzione: si trattava di un'occupazione tollerata ma non autorizzata. Gli autogestiti per loro natura sono un po' fuori dagli schemi ma non ricordo particolari problemi di ordine pubblico. Certo, qualche questione c'era stata, legata molto alla posizione del Maglio, sotto all'abitato di Canobbio: ogni manifestazione un po' rumorosa che veniva organizzata si sentiva in paese, comportando disturbi per la popolazione. Ricordo un aneddoto: pur non avendo mai tolto i miei recapiti dall'elenco telefonico, in dodici anni di Consiglio di Stato non sono quasi mai stato disturbato a casa. Una delle rarissime volte che è capitato è stato una notte, attorno alle 2-3 sono stato svegliato da un abitante di Canobbio che ha voluto farmi sentire in diretta i rumori che provenivano da un concerto al Maglio (ride, ndr).

Dopo lo sgombero, è vero, ci vollero solo due mesi per trovare una soluzione. Ma è anche vero che in quel lasso di tempo le manifestazioni e i sit-in di protesta non mancarono. Avete mai temuto che potessero degenerare?

Per il Cantone era pacifico che lo sgombero al Maglio avrebbe comportato la ricerca di uno spazio adeguato a Lugano, non si trattava di una chiusura tout-court. E d'altra parte, la Città aveva già manifestato la disponibilità per trovarla questa soluzione. Credo che gli autogestiti fossero coscienti di questo contesto e quindi nemmeno noi avevamo paura che la situazione potesse degenerare.

A suo giudizio è giusto che Il Molino resti nel Luganese o si dovrebbero valutare anche altre soluzioni?

Credo che anche nelle altre realtà svizzere l'autogestione sia un fenomeno legato ai centri urbani, sono delle esperienze che mi sembra abbiano sempre rivendicato degli spazi propri nelle città, non nelle valli o nelle periferie. E in Ticino la città più grande è Lugano, che è anche quella con la maggior tradizione se parliamo di autogestione. Vent'anni fa vi era condivisione a livello cantonale che fosse la Città di Lugano a dover dare loro uno spazio. Penso quindi che ancora oggi la soluzione più adeguata sia in tutti i casi a Lugano.

E il ruolo del Cantone quale dovrebbe essere?

All'epoca il Cantone era stato coinvolto anche perché si era adoperato per lo spostamento del Molino dagli ex Mulini Bernasconi di Viganello (occupati nel 1996, ndr) al Maglio, che era di sua proprietà. Inoltre, come direttore del Dipartimento istituzioni avevo interesse che in quella delicata fase non si creassero problemi di ordine pubblico. Il Cantone quindi è intervenuto con uno spirito di mediazione. Tuttavia, a mio modo di vedere, non si tratta di una questione cantonale. Il Consiglio di Stato è giusto che ci sia e che dia una mano nel trovare una soluzione. In tutti i casi la competenza è dei Comuni, che hanno gli spazi che possono eventualmente essere messi a disposizione.

La convenzione aveva carattere temporaneo, e poi è stata tacitamente rinnovata di anno in anno e ancora oggi a quasi vent'anni di distanza ha valenza giuridica, ma la tensione è cresciuta. La questione si sarebbe potuta affrontare prima?

“Non c'è niente di più definitivo del provvisorio”, diceva Prezzolini (ride, ndr). A un dato momento devo dire che ho avuto l'impressione che andasse bene la sistemazione all'ex Macello, forse qualcuno può aver pensato che l'esperienza si sarebbe prima o poi esaurita... Sì, forse la Città avrebbe potuto muoversi prima, ma non ho più seguito il dossier con la continuità necessaria per esprimere un giudizio. Sono in tutti i casi questioni di difficile soluzione.

Ora però ora siamo arrivati a questo muro contro muro. Cosa si può fare?

Io penso che in ogni caso sia sempre giusto il dialogo. Le nostre non sono tradizioni di scontro duro, ma piuttosto di mediazione. Qualche volta è più difficile, qualche volta lo è meno, ma va fatto. Non era stato facile nemmeno vent'anni fa, ma ci vuole un po' di apertura da entrambe le parti e comprensione per le reciproche esigenze e aspettative.

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