Luganese

Riciclaggio, fiduciario e bancario del Luganese a processo

I due saranno giudicati a Padova assieme a un terzo uomo attivo in Italia. A loro carico si sospetta un giro di malversazioni di 200 milioni di euro

Ti-Press
2 gennaio 2019
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Tre imputati a processo con il rito immediato mercoledì 9 gennaio in Tribunale penale a Padova per associazione per delinquere al riciclaggio internazionale di 46 milioni di euro dal 1° dicembre 2015 al 31 dicembre 2016. I soldi sarebbero arrivati a Lugano da Dubai, per poi essere messi a disposizione di duecento clienti, sedici dei quali identificati (fra cui il figlio di un ministro dell’ultimo governo Berlusconi) e a loro volta sotto indagine per reati fiscali. Gli imputati sono un 59enne dentista veneziano, un 50enne originario di Seedorf (Uri) ma residente a Balerna e titolare di una finanziaria di Agno e un 52enne bergamasco, ex direttore di banca, residente a Lugano, socio in affari del 50enne. Arrestati lo scorso 25 maggio, assieme a due donne la cui posizione è ancora al vaglio degli inquirenti, non si esclude che possano chiedere il rito abbreviato. Soprattutto i primi due che – avendo fatto ammissione – sono in libertà. Mentre è ancora in carcere il bergamasco, essendosi rifiutato di rispondere agli inquirenti. L’uomo ha inoltre precedenti specifici. Collaboratore di una banca di Lugano è stato condannato dai giudici di Firenze per aver trafugato negli anni compresi fra il 2010 e il 2013 oltre 200 milioni di euro.
Il processo di mercoledì dovrebbe far chiarezza sui segreti meccanismi della macchina che, per l’accusa, agli imputati è servita per il riciclaggio internazionale di 46 milioni di euro. Qualcosa il dentista ha già raccontato agli inquirenti: “A un certo punto le banche svizzere hanno detto basta al cash. E così se qualcuno voleva monetizzare aveva due possibilità: aderendo alla Voluntary, ma costava troppo, oppure prelevava il denaro, al quale pensavamo noi”. Un sistema naturalmente fuorilegge: giroconti, fatture false, transazioni inesistenti in lingotti d’oro. Tutte operazioni che, per l’accusa, estero su estero, partivano da Agno, transitavano da Slovacchia o Cechia, per approdare negli Emirati Arabi Uniti. Lì il denaro sino allora circolato online diventava sonante, per tornare a Lugano, nascosto nelle valige di una delle due donne ancora sotto indagine. Ci pensavano poi corrieri di valuta a portare i capitali in Italia. La commissione costava il 10 per cento.

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