Luganese

Morte al Civico di Lugano, nominato il perito

Prosegue l'inchiesta penale coordinata dal pp Zacaria Akbas mentre parla il figlio del 72enne che ha apprezzato il sostegno del personale del nosocomio.

Ti-Press
4 maggio 2018
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«Noi siamo coscienti che tornare indietro non è possibile, dunque tutto questo lavoro di indagine servirà all’ospedale per migliorarsi e migliorare il servizio alla comunità. Noi non abbiamo intenzione di fare battaglie. Potrà anche essere stato un errore ma può succedere in questo genere di professioni così complicate. Medici e operatori sanitari sono confrontati tutti i giorni con situazioni critiche e non dev’essere per niente facile fronteggiarle». Sono le parole del figlio del paziente deceduto nella notte di inizio aprile all’Ospedale Civico di Lugano dopo un’operazione alla cistifellea (cfr. ‘laRegione’ di ieri).

Parole sagge che suonano come un invito alla prudenza e all’attesa dell’esito dell’inchiesta. Non che la famiglia non sia rimasta scioccata e sconvolta dal decesso dell’uomo. Ma non intende farne un caso. Da noi interpellato, il figlio è stato sorpreso positivamente dall’atteggiamento del personale del nosocomio, in particolare per la vicinanza assicurata alla famiglia. Apprezzato pure il fatto che la struttura voglia andare a fondo e stia effettuando le verifiche interne per evitare, nel limite del possibile, che situazioni simili possano ripetersi. Classe 1945, l’uomo residente nel Locarnese era stato ricoverato al Civico per asportare i calcoli alla cistifellea all’inizio del mese scorso. Dopo l’operazione, è deceduto nel corso della notte per un’emorragia interna che gli è stata fatale. Dopodiché, il Civico si è autodenunciato al Ministero pubblico che, dal canto suo, ha già disposto l’autopsia sul corpo. Lunedì, il procuratore pubblico Zaccaria Akbas che coordina l’inchiesta penale ha sentito l’équipe medica e gli operatori che hanno preso a carico il paziente 72enne. Intanto, il procuratore pubblico ha nominato un perito esterno per chiarire il dramma consumatosi dentro le mura del nosocomio luganese.

La famiglia, tramite il figlio, ha voluto far sapere che è stato sentito il sostegno dei medici e degli operatori della struttura. Il personale del Civico non ha solo manifestato il proprio cordoglio ma ha partecipato al dolore dei familiari e delle persone vicine al paziente. La portata emotiva di un tale evento drammatico non è da sottovalutare. D’altra parte, il rischio zero non esiste e, purtroppo, chiunque entri in un’ospedale deve fare i conti con questa realtà, ci spiega un operatore sanitario che preferisce restare anonimo. In chirurgia, anche un’operazione che di primo acchito appare relativamente semplice, potrebbe finire male. Si fa di tutto per ridurre il rischio ma le complicanze sono sempre dietro l’angolo e non sempre tutto fila liscio come previsto.

L'autodenuncia al Ministero pubblico? Radczuweit: 'Basta il sospetto'

«Per principio, la legge sanitaria obbliga qualsiasi operatore a informare il Ministero pubblico di casi di malattia, lesione, morte per causa certa o sospetta di reato». Stefano Radczuweit, capufficio Sanità del Dipartimento della sanità e della socialità ci spiega che l’autodenuncia «dovrebbe scattare quando c’è il sospetto che le lesioni o la morte non sono dovuti a una complicanza più o meno prevedibile ma che si potrebbe sconfinare nella violazione della scienza e dell’arte medica».

In altre parole, quando c’è una negligenza che si poteva e doveva evitare. C’è però un margine di apprezzamento da parte della struttura o dell’operatore sanitario, in quanto spesso è difficile stabilire il confine tra complicanza ed errore medico (ciò che spesso deve essere appurato mediante delle perizie). Il limite è difficile da tracciare perché ogni operazione comporta rischi e ci sono complicanze conosciute più o meno gravi e più o meno frequenti. Bisogna pure tener conto che le regole possono cambiare col passare del tempo in base al progresso tecnologico e scientifico e gli operatori hanno l’obbligo di aggiornarsi continuamente.

 

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