lugano

Calci e colpi alla testa a ubriaco: condannato un agente Polcom

Le Assise correzionali gli hanno inflitto una pena di nove mesi, sospesi per un periodo di prova di due anni, in quanto ritenuto colpevole di abuso di autorità

22 febbraio 2018
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Un gesto goliardico, seppur ‘antipatico’ come lo è il fare pipì su un distributore di sigarette di una discoteca, ha innescato una serie di comportamenti considerati perlomeno ‘discutibili’ perché operati da chi è chiamato, diversamente, a rappresentare la legge. Per un agente della Polizia comunale di Lugano, 33 anni da 14 nel corpo comunale, il fermo, all’alba di un giorno di maggio del 2016, di un giovane ubriaco, cittadino svizzero, si è dunque tramutato in una condanna per abuso d’autorità. A decidere per una pena detentiva, nove mesi, sospesi con la condizionale per un periodo di prova di due anni – anziché una pena pecuniaria, così come indicato nel decreto d’accusa, confermato – il giudice delle Assise correzionali, Mauro Ermani, dopo che il poliziotto si era opposto a un primo decreto d’accusa sottoscritto dal procuratore generale John Noseda. A non quadrare fin da subito sono stati i comportamenti ‘sopra le righe’ del fermo. Più volte evocato nel corso del dibattimento, è stato, infatti, il principio di proporzionalità. «Perché non ci si è fermati una volta ottenute le generalità?» non ha mancato di far notare più volte il susseguirsi di comportamenti non consoni alla divisa il giudice. «Perché portarlo in Centrale? Perché esigere l’alcol test?». A sostegno dell’accusa vi sono stati anche i filmati ottenuti dalla videosorveglianza, presentati in aula, che mostrano la vittima in un locale del comando, ammanettata e seduta, e presa di mira dall’agente con calci e colpi al volto, apparentemente senza un motivo. Neppure gli sputi e lo ‘spauracchio’ dell’Aids (solo evocato dal giovane ma non pericolo reale in quanto non ne era portatore) potevano avvalorare una ‘base legale’ al ricorso alla violenza attuata dall’agente, affiancato peraltro da tre colleghi (di cui una donna). «L’uso della forza non è mai giustificabile – aveva rimarcato nella sua requisitoria il pg Noseda – in questo la giurisprudenza è tassativa». A conferma la sentenza del Tribunale federale del 5 agosto 2014: un provvedimento coercitivo è permesso solo quando vi sia una minaccia all’incolumità delle persone e dunque un comportamento violento: «E qui si parla peraltro di fatti avvenuti in strada; all’interno di una caserma l’uso della forza è categoricamente escluso. A ben vedere già all’inizio dell’operazione vi erano stati atteggiamenti coercitivi discutibili. Le generalità erano date. Punto e finito. È questo quello che andava fatto». Assoluzione era invece stata la richiesta della difesa sostenuta dall’avvocato Marco Bertoli: «Non siamo qui a cercare delle medaglie per questo comportamento. Ma non c’è stato danno. È stata una reazione e non un abuso».

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