Luganese

Prosciolto Albertalli, né usura né promovimento prostituzione

Il noto ex gestore di postriboli del Bar Oceano e la figlia non colpevoli: non hanno esercitato pressioni

9 febbraio 2018
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A sette anni dai fatti arriva il colpo di scena. Ulisse Albertalli e sua figlia, che gestivano rispettivamente alloggi e bar del celebre postribolo ‘Oceano’, non commisero nessun reato. Questo ha sentenziato ieri la Corte delle Assise criminali di Lugano (giudice Amos Pagnamenta). Il procuratore generale John Noseda, che ha sostenuto l’accusa, visibilmente stizzito, ha subito annunciato il ricorso presso il Tribunale d’appello. Felice Albertalli all’uscita. «Ho recuperato dieci anni di vita. Da parte di Noseda il ricorso in Appello è una cattiveria».

Finisce così una giornata di processo durante la quale si è rivissuta quell’epoca tumultuosa dei bordelli luganesi, un tempo che vide fra i protagonisti proprio Ulisse Albertalli, 69 anni, di Roveredo Grigioni, gestore prima del Gabbiano (che apparteneva a Giuliano Bignasca) e poi dell’Oceano. Affari d’oro: Albertalli ha ammesso che in quegli anni guadagnava mediamente 20mila franchi al mese, affittando le camere alle prostitute ma la vicenda assume improvvisamente contorni kafkiani in seguito all’iniziativa della magistratura, che portò alla chiusura del bordello e alla messa sotto accusa del suo patron.

Una vicenda, va detto, che ha ricordato da vicino quella dei canapai: anni di attività in apparenza regolare, controlli della polizia senza particolari conseguenze, tutto (più o meno) alla luce del sole, e all’improvviso l’accusa di illegalità. Accusa importante: usura aggravata, siccome commessa per mestiere, e promovimento della prostituzione. Tanto che alla fine della sua requisitoria il pg John Noseda ha chiesto una pena di 3 anni di detenzione, sospesa in parte con la condizionale ma con sei mesi da scontare dietro le sbarre.

‘Non sono un magnaccia’

Accuse respinte da Albertalli. «Non sono un magnaccia, gestivo l’Oceano come fosse un alberghetto». E come detto a spuntarla è stato l’avvocato difensore Marco Garbani, che ha visto riconosciute le sue tesi. Gli argomenti dell’accusa e della difesa sono un classico del dibattito attorno alla prostituzione. Le donne che praticano il mestiere più antico del mondo, lo fanno perché costrette dal bisogno, vessate da personaggi che si arricchiscono alle loro spalle, oppure sono delle libere professioniste che si spostano liberamente per massimizzare il profitto?

All’Oceano, secondo la Corte si trattò del secondo caso. Nessuna costrizione particolare gravava sulle ragazze, che in quanto ‘comunitarie’ (arrivavano perlopiù dalla Romania) e munite dei necessari permessi, avrebbero potuto scegliere altre situazioni abitative, meno costose dei 160-180 franchi al giorno richiesti dal postribolo sul Pian Scairolo.

Preferivano l’Oceano, così dissero negli interrogatori, per la qualità del posto sotto il profilo della sicurezza, piuttosto che per la possibilità di fare buoni affari. “Avevamo completa libertà di movimento” dissero in diverse: anche qui, nessuna ‘pressione’ a prostituirsi, pure le regole sul comportamento del bar (non ‘saltare addosso’ ai clienti appena entrati) è stata vista più come una misura di ordine che non come una costrizione. La Corte ha infine riconosciuto un risarcimento a favore di Ulisse Albertalli: 72’250 franchi per la perdita di guadagno, più mille per torto morale. Resta da decifrare la posizione del proprietario dello stabile, che intascava tre quarti dei proventi.

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