Locarnese

‘BetonSuisse’ premia l’architettura ticinese

Il riconoscimento nella categoria giovani va al Palazzo Pioda di Solduno ideato dallo studio Inches Geleta Architetti

Uno squarcio del Palazzo Pioda a Solduno
24 agosto 2021
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Sono stati 175 i progetti presentati all'edizione 2021 del celebre concorso di architettura “Beton Preis”; la giuria ha emesso il suo verdetto ieri sera al Politecnico di Zurigo. Nella categoria incoraggiamento giovani (20 i candidati) il prestigioso riconoscimento è stato assegnato al Palazzo Pioda di Solduno. Ideato dallo studio Inches Geleta Architetti, lo stabile plurifamiliare era già stato premiato nel 2019 con il “Best architects ‘19”, una delle più rinomate distinzioni in questo settore. La palazzina, sviluppata su sei piani, ognuno riservato a un appartamento, sorge nel quartiere Campagna, nel passato una zona agricola, destinata ora alla residenza e alle attività commerciali, di servizio e produttive. “Si tratta quindi di un sobborgo misto – si legge nel sito dello studio di architettura –, in cui le potenzialità edificatorie sono molto alte a testimonianza della volontà di connotare l’area di una nuova urbanità”.

‘Una presenza che si conferma sul panorama svizzero’

Dagli anni ’70, a cadenza quadriennale, viene dunque attribuito il noto “Beton Preis”, premio particolarmente accreditato nel settore architettonico. Tant’è che vale la pena ricordare che i ticinesi decorati durante le edizioni passate sono stati pochi e particolarmente illustri: si pensi a Luigi Snozzi, che ha ricevuto il riconoscimento nel 1985 con la palestra di Monte Carasso, ad Aurelio Galfetti, premiato per il restauro di Castelgrande nel 1989, o a Livio Vacchini, insignito nel 1997 con la palestra di Losone. Raggiunto da ‘laRegione’, Matteo Inches spiega che «si tratta di un riconoscimento anche per l’architettura ticinese che negli anni ’70-’80 è stata esportata non solo sul territorio nazionale, ma ugualmente all’estero. È un chiaro segnale per confermare che l’architettura del nostro Cantone c’è, che continua a essere presente sul panorama svizzero e che sta seguendo le orme dei maestri sopracitati. Poi certo, è un premio che fa naturalmente piacere dal punto di vista professionale».

«Se da un lato è vero che questa categoria esiste solo dalle scorse due edizioni – prosegue il vincitore della sezione giovani –, va poi tenuto conto del fatto che non sono tantissimi i nostri coetanei che operano sul territorio. A ogni modo, c’è una generazione tra la nostra e quella degli anni ’70-’80, validissima, ma che spesso non ha ricevuto un riconoscimento da parte dell’opinione pubblica proprio perché viveva un po’ all’ombra di questi grandi nomi. Che il premio ci venga attribuito, unitamente al fatto che altri ticinesi abbiano proposto i loro progetti in questa categoria – rileva Inches –, significa che c’è un movimento di architetti che vogliono operare bene sul territorio e che non si fanno solo attirare o sedurre dai soldi per così dire ‘facili’, spesso promessi dalle operazioni speculative».

‘Il tema non è tanto il costruire in sé, quanto il costruire male’

In tal senso, Inches precisa che «anche l’oggetto della premiazione, una palazzina detto molto banalmente, mostra che è possibile costruire con un alto profilo architettonico. Inoltre, bisogna prendere in considerazione i malumori della popolazione relativi alla costruzione di palazzi che crescono come funghi, qualitativamente discutibili, e che spesso hanno come unico fine la speculazione.

Riflettendo sul boom edificatorio che ha caratterizzato gli anni ’70-’80, quando i piani regolatori erano appena nati e avevano qualche lacuna, Inches spiega che i Comuni sono chiamati ad aggiornarli periodicamente, ma che è solamente negli ultimi dieci anni, se non meno, che grazie alla nuova legge sulla pianificazione del territorio si è dato uno stop all’ampliamento della zona edificabile e si punta a densificare di più il tessuto costruito esistente. «Il tema – sottolinea Inches – non è tanto il costruire in sé, ma il costruire male, ossia non facendo attenzione a un disegno complessivo di città qualitativa. Tanti si concentrano infatti solo sulla singola parcella, quando basterebbe anche solo relazionarsi con il suolo pubblico pensando a un arredo urbano adeguato. A tal fine, i piani regolatori permettono una certa densità edificatoria, ed è corretto che sia così, perché piuttosto che costruire in collina o nelle zone cosiddette ‘pregiate’, è bene densificare quegli spazi urbani dove ci si può muovere con il trasporto pubblico, in cui si trovano i servizi a prossimità, ad esempio quelli ospedalieri, e dove si possono creare anche delle comunità di quartieri. In definitiva, si tratta dunque di costruire con qualità: qualità architettonica, ovvero nell’espressione dell’edificio, ma anche qualità in un inserimento paesaggistico corretto, vale a dire la relazione tra l’edificio, il suolo e il mappale privato e pubblico con il quale si è adiacenti».

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