laR+ Locarnese

Rimontare in sella (pardata) per riacchiappare la propria vita

Ri-Cicletta è un programma occupazionale di Sos Ticino che da 22 anni partecipa al Locarno Film Festival. Di Conza: 'Prima di noi, le macchie in città non c'erano'

Sulla piazza dal 1999
11 agosto 2021
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«C’era prima la signora», arriva all’orecchio una sonora erre moscia italianizzata. «No, ma si figuri. C’era prima lei», è il rimbalzo in un francese ­smozzicato con durissima erre apicale. È una bella giornata di sole a Locarno ­– la città della 74esima edizione del Festival del film – e le numerose biciclette pardate parcheggiate in bella vista alla fine di Largo Zorzi risplendono ai suoi raggi. Stiamo aspettando Pietro Di Conza, responsabile dell’atelier Ri-Cicletta del Soccorso operaio svizzero (Sos) Ticino, che da ben 22 anni partecipa alla rassegna cinematografica. Lui parte con l’aneddoto: «Da quindici anni, questa losannese appassionata di cinema (quella del “C’era prima la signora”, ndr) partecipa al Festival e da quindici anni noleggia una delle nostre biciclette per tutto il suo svolgimento», racconta con manifesta soddisfazione per il successo dell’iniziativa che dalla 52esima edizione porta le tipiche bici pardate sulle strade.

‘Infondere la voglia di reagire’

Ma procediamo con ordine, perché se da tanti anni le vie cittadine sono inimmaginabili senza le bici maculate, l’iniziativa ha radici ben più lontane: nel tempo, nello spazio e nel significato. Ri-Cicletta è uno dei tre piani occupazionali del settore disoccupazione del Sos Ticino e ha sede a Rivera, dove c’è l’officina. Lì l’utenza che svolge il piano occupazionale recupera, seleziona pezzi riutilizzabili, vernicia e decora biciclette che verranno in parte vendute (in loco o online), in parte spedite in Africa a scopo solidale e, in parte ancora, portate al Festival del film in agosto.

«Il nostro lavoro ha quale obiettivo la promozione del reinserimento socio-professionale di persone disoccupate che rischiano di essere escluse dal tessuto sociale», spiega Di Conza. Insieme a lui lavorano in équipe Damiano Mengozzi, Giovanni Ginelli e Paola Santini. Al gruppo di operatori è dato il compito di rilevare le competenze di ciascun partecipante, così anche le esperienze e le capacità professionali che possono essere approfondite e sviluppate attraverso attività mirate. Oltre a ciò il lavoro di gruppo permette di sviluppare anche competenze sociali, come collaborazione e confronto.

Ri-Cicletta dunque non è concentrata nei quattordici giorni di Festival, ma è un progetto sociale continuo. «Finito il ciclo di tre mesi in officina, chi trova lavoro se ne va (anche prima, se capita), chi non l’ha trovato ricomincia il percorso di ricerca» ed eventualmente un altro piano occupazionale. L’utenza è molto diversa, si va dai venti ai sessant’anni (anno più, anno meno): «Ci sono profili molto alti con grande esperienza professionale che vengono segnati dalla perdita dell’impiego, che può portare a un crollo emotivo e di autostima. Nel nostro atelier cerchiamo anche d’infondere la voglia di reagire». Insomma non si rimettono in sesto solo le biciclette cadute in disuso, il lavoro in officina si può leggere come metafora del percorso di persone che loro malgrado stanno attraversando un momento critico della loro vita e cercano di rimettersi in sella.

‘Sentirsi valorizzati fa bene e gratifica’

I’ve got a bike, you can ride it if you like / It’s got a basket, a bell that rings / And things to make it look good / I’d give it to you if I could, but I borrowed it. È irresistibile: ogni volta che c’è una bicicletta – e qui se ne vedono di belle e uniche –, nella testa partono i primi versi di “Bike” dei Pink Floyd, quando c’era Barrett. Da Rivera, siamo di nuovo a Locarno.

Nel tempo, Pietro e le sue squadre hanno creato un’immagine molto forte: «Quest’anno sono 22 anni che veniamo al Festival con le nostre biciclette». Il primato della caratterizzazione col manto maculato è proprio loro, perché prima – tiene a rimarcare il responsabile – non c’era niente di leopardato. Era il 1999. «Abbiamo iniziato portando quindici biciclette, ma avevamo bisogno di un colore forte per farci vedere. Ecco quindi questo giallo molto acceso. Poi, oltre alle biciclette a tema, sono arrivati altri oggetti – come miniature d’auto, tricicli, sculture – rivestiti pure loro di macchie», ricorda. È nato così un sistema e «il nostro giallo è diventato peculiare. Le macchie si sono sparse nella città, caratterizzando la cornice della rassegna».

Ora il parco biciclette conta una cinquantina di esemplari in vendita e/o pronti al noleggio, «tutti dipinti a mano con un pennellino, mica adesivi o tamponi», assicura. Col passare degli anni, le bici di Ri-Cicletta sono diventate un vero e proprio marchio distintivo e la postazione con i gazebo attira bambini, ragazzi e adulti: «Abbiamo qualcosa per tutti».

Un’iniziativa che è possibile grazie alla collaborazione con diversi attori sulla piazza, in primis con il Festival e il Comune, «che ci mette a disposizione il suolo pubblico a titolo gratuito, fatto niente affatto scontato», ma molto apprezzato, tenendo conto che i gazebo sono piazzati in un crocicchio con un’affluenza importante. Inoltre, Ri-Cicletta al Festival ha il determinante appoggio della direzione del Sos Ticino e dell’Ufficio del lavoro, che «credono nel nostro progetto e ogni anno lo sostengono». E i soldi guadagnati da noleggio e vendita? «Sono in parte destinati alle spese correnti, come il noleggio dei gazebo o il rimborso spese agli utenti. Ciò che avanza torna all’Ufficio del lavoro, che dà un sostegno economico al progetto», risponde Di Conza.

L’esperienza delle bici al Pardo «per i partecipanti di Ri-Cicletta è una bella soddisfazione. All’inizio non lo pensano, ma alla fine si rendono conto del lavoro fatto e del successo che ha, perché apprezzato e riconosciuto. Siamo riusciti a fare qualcosa di concreto e buono, anche per far conoscere l’associazione», dichiara.

Perdere il lavoro spesso significa veder disfatta la propria vita. Fare qualcosa di tangibile che sia riconosciuto e apprezzato aiuta molto, «perché sentirsi valorizzati fa bene e gratifica», chiosa il responsabile.

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