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Ticino e Italia affondano i siluri nel lago

Un progetto finanziato da fondi Ue mira a eliminare il vorace predatore dalle acque Verbano allo scopo di tutelare le specie autoctone

16 agosto 2021
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Italia e Svizzera, due Paesi uniscono le forze anche per far fronte a un nemico comune: il pesce siluro. Questo grazie a un progetto transfrontaliero Interreg denominato “Sharesalmo” che si propone di tutelare e promuovere tre specie autoctone di salmonidi (la trota marmorata, quella lacustre e il temolo padano), le quali possono essere pure considerate minacciate dal grande predatore d’acqua dolce (fiumi e laghi). Il partenariato vede il Parco Lombardo della Valle del Ticino e il Canton Ticino (Dipartimento del territorio) quali capofila.

Introdotto dall’uomo, una minaccia da ‘bollino rosso’ per l’ecosistema

Negli ultimi decenni, negli ambienti ittici, si è assistito a un declino di queste tre specie originarie delle nostre acque, particolarmente esigenti dal punto di vista ambientale, a causa di diversi fattori. Uno di questi è stato l’apparizione, qualche decennio fa, per mano dell’uomo (immissioni abusive) di un terribile predatore dell’Est Europa, il pesce siluro appunto, la cui diffusione nei fiumi dapprima e nei laghi (Varese e Maggiore) in seguito ha portato a gravi ricadute non solo sugli ecosistemi, ma anche sui comparti ambientali ed economici ad essi connessi (si pensi al mondo della pesca).
Tiziano Putelli, alla testa dell’Ufficio caccia e pesca, segue da anni con attenzione la tematica: «Questa azione di lotta a tutela delle specie ittiche autoctone dei nostri corsi d’acqua trova la sua giustificazione nel proliferare del siluro, una specie introdotta dall’uomo in Italia oltre un ventennio fa. Una delle ipotesi maggiormente accreditata è quella di una prima immissione nei laghetti italiani di pesca sportiva; da lì è poi finito nei corsi d’acqua e nei laghi del Nord Italia, creando scompiglio. Potremmo definirlo un pesce da bollino rosso, un’autentica minaccia per la fauna ittica e la nostra biodiversità. Al vertice della piramide alimentare, non fosse altro che per la sua particolare taglia (la specie può raggiungere quasi 3 metri di lunghezza), riesce a far piazza pulita di tutto ciò che trova a portata di bocca (uccelli acquatici compresi). Un decennio fa l’Italia ha avviato una campagna di contrasto, ma contenerne il numero non è stato possibile. Dai fiumi Ticino e Po si è diffuso rapidamente ovunque. E col tempo ha finito col colonizzare anche le acque del Lago Maggiore. Dipartimento del territorio e Regione Lombardia hanno dunque varato un piano sinergico di lotta».

Nel Ceresio la specie è ancora poco diffusa

L’estensione e la complessità dei corpi d’acqua in discussione hanno condizionato le aspettative dei risultati di questa battaglia: «Se nel Ceresio si parla di alcune catture di siluri all’anno, nel Verbano sappiamo invece che sarà impossibile debellarlo. Ma lo si può contenere e questa è la premessa per tutelare le specie autoctone citate con l’obiettivo di garantire a medio/lungo termine l’attività della pesca professionale e dilettantistica».
Di tentativi messi in atto per cercare di catturare il feroce predatore (che da adulto non ha nemici naturali vista la taglia) se ne sono escogitati diversi: «Abbiamo tentato con le gabbie in passaggi obbligati per i pesci, ma si sono rivelate poco efficaci e oltretutto generano molto lavoro di pulizia. I migliori risultati in base alle esperienze maturate si sono ottenuti con la pesca elettrica, come avviene nella parte finale della Tresa, dove esemplari di 70-80 cm e oltre vengono catturati nei momenti in cui la specie risulta essere maggiormente attiva».
Come spesso accade in questi casi, un aiuto all’uomo è arrivato dalla tecnologia: «Cartografando le aree con il maggiore potenziale di riproduzione del siluro, che solitamente avviene a inizio estate con ovo-deposizione nelle zone di basso fondale lungo le rive, siamo riusciti a localizzare alcuni punti nei quali concentrare gli sforzi: per la parte di lago su suolo svizzero nella zona delle Bolle di Magadino, in quella del Porto di Mappo e alla foce della Verzasca. Proprio in queste aree stiamo concentrando il nostro piano d’azione: gli esemplari che vengono visti sono catturati, poi eliminati. È comunque un lavoro che richiede impegno e che ripeteremo nel tempo per mantenere la giusta pressione su questa specie. E di tempo il siluro ne ha, visto che è anche molto longevo (può campare fino a 80 anni!). Occorrerà dunque seguire con attenzione la sua evoluzione nel nostro habitat».

Un pesce commestibile ma non pregiato

Brutto di aspetto (corpo di forma cilindrica, grossa testa piatta e una grande bocca provvista di tre barbigli, con due occhi molto piccoli), dannoso per l’ecosistema, questa sorta di “mostro“ dei fondali torbidi ha comunque una virtù: al netto delle considerazioni, la sua carne non è affatto da scartare. Nel bacino del Danubio, dove è autoctono, il siluro viene considerato una prelibatezza e ha una notevole importanza commerciale: «È un pesce con poche lische e inodore, la carne bianca è particolarmente muscolosa e dal gusto delicato. Ciò che lo rende un pesce interessante dal punto di vista alimentare. Ha sicuramente un mercato alle nostre latitudini – conclude il nostro interlocutore –. Anche se da noi prevale nettamente la diffidenza, da anni il siluro viene servito sui tavoli in Francia, dove è protagonista di molti menù e viene valorizzato dagli chef. Alle nostre latitudini, invece, non c’è ricetta che tenga: il siluro resta un ‘ospite’ troppo ingombrante che minaccia concretamente i naturali inquilini delle acque dolci».

Una storia d’invasione e colonizzazione minacciosa che, anche con l’aiuto dei contributi Ue, si spera di respingere.

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