Locarnese

Cosar: 'Non ero io il capo, ci ho solo messo la faccia'

L'ex sergente nega di essere stato il deus ex machina del Syriac Military Council. Il cugino: 'Nessuno è mai partito per andare a combattere'

Johan Cosar (Ti-Press)
20 febbraio 2019
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La sessione pomeridiana del processo a suo carico si apre col tentativo di capirne il ruolo in seno al Syriac Military Council (Smc). Johan Cosar, ex sergente dell'esercito svizzero davanti alla Giustizia militare da questa mattina, è accusato di ‘Indebolimento della forza difensiva del paese’ per avere combattuto l’Isis in terra siriana senza la prevista autorizzazione. L'essere una sorta di deus ex machina del Smc emergerebbe dagli sms scambiati con il cugino, giustificati in aula dall'imputato con il tono ironico della conversazione; lo stesso vale per un’intervista rilasciata via Skype a Le Temps, che – secondo lo stesso Cosar – «non è stata fluida, forse c’è stata un’incomprensione».

'Ci ho solo messo la faccia'

Secondo l'imputato, l'essere identificato come capo si deve più generalmente all’essersi «mediaticamente esposto per sensibilizzare l’opinione pubblica. Posso dire di averci messo la faccia». Avrebbe una certa importanza anche l'età, «che in Siria influisce molto sull'ordine gerarchico». Allo stesso modo, Cosar si esprime sull’intervista rilasciata durante il conflitto agli inviati di Rai3, riproposta integralmente in aula. In quell’occasione, in particolare, gli venne chiesto di un accordo sottoscritto con gli americani: “L’accordo con gli americani si tenne a Istanbul – risponde l'imputato – e non essendo io a Istanbul quel giorno non posso certo averlo firmato”.

‘Nessuna propaganda, ha agito in modo emozionale’

«Avevo una pagina personale di facebook ed ero uno degli amministratori della pagina del Smc. Ma non avevo alcuna posizione gerarchica in seno all'organizzazione», dichiara il cugino di Cosar. Perché la ricerca di prove sul potere decisionale dell'ex sergente si applica anche alla pagine social che hanno fatto da cassa di risonanza all’attività del Smc. In base alle dichiarazioni agli atti, secondo il cugino «i contenuti venivano decisi in Siria. All’inizio era lui (Cosar, ndr.) a dirci cosa pubblicare». Così spiega la dichiarazione l'ex sergente svizzero: «Intervenivo per tutelare i volti dei soldati, il regime siriano era ancora sul territorio e mi preoccupavo delle conseguenze». E ancora: «Non ho mai ritenuto mio cugino un tramite propagandistico. Lui ha agito in modo emozionale, a partire dall’avere uno zio (il padre di Cosar, ndr.) sequestrato dai servizi segreti siriani». Quanto al reclutamento di foreign fighters, «nessuno è mai partito per andare a combattere» dice in aula il cugino. Il processo riprenderà domani mattina alle 9 con la chiusura dell'istruttoria dibattimentale. A seguire, le dichiarazioni di accusa e difesa.

 

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