Locarnese

Parco Nazionale, la 'rivolta dei custodi'

I titolari di oltre 50 aziende agricole prendono le distanze dal progetto. Criticati gli scarsi mezzi a disposizione del settore e il modus operandi dei promotori

24 maggio 2018
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Prendendo a prestito l’espressione dal mondo del pugilato, potremmo definirlo un colpo al fegato, quello portato da una cinquantina di agricoltori del Locarnese al Candidato Parco Nazionale. Un colpo che fa sicuramente male perché sferrato proprio da coloro che, per definizione, sono i “custodi” a salvaguardia del territorio e della biodiversità. In una presa di posizione articolata, il gruppo – comprendente oltre 50 aziende, in maggioranza con sede fuori dai confini del Parco, che si occupano assieme della gestione di più di 800 ettari di territorio e svariati alpeggi, anche di grandi dimensioni – si dice “innanzitutto preoccupato delle limitazioni che si verranno a creare ma, soprattutto, delle mire espansionistiche presenti nella Carta del Parco, specialmente in Vallemaggia, dove a suo tempo si era democraticamente deciso di non aderire a tale progetto”. A detta dei firmatari, il proclamato miglioramento delle condizioni del settore nel contesto rurale delle valli del Locarnese non sarebbe tale: “In questo caso vi sarebbe stato anche l’appoggio incondizionato da parte dell’intero settore agricolo che invece si ritrova a doversi mordere la lingua e a non poter rilasciare comunicati ufficiali a causa di pressioni esterne”.

Alpeggi, ‘così non si va lontano’

Entrando nel merito, i firmatari iniziano la loro disamina dall’attività dell’alpeggio: “Il progetto si prefigge di garantire la continuità delle attuali attività tramite un sostegno specifico a quelle di carattere tradizionale. Questo significa che in realtà l’unico appoggio che si offre è quello di tollerare l’attività attraverso una deroga per gli alpeggi nelle zone centrali e a condizione che la conduzione sia di tipo tradizionale. Tuttavia, condurre un’agricoltura e attività pastorali in maniera rigorosamente ‘tradizionale’ non è quello che i firmatari della presente ritengono essere l'indirizzo appropriato alle necessità e alle caratteristiche del nostro territorio. Non si può pensare di rilanciare un intero settore attraverso un’imposizione ideologica di limiti e non si può pensare di preservare le attività rendendole utili al solo scopo folcloristico o dell’educazione ambientale”. A detta degli agricoltori contrari al Parco, coloro che “nel mondo agricolo appoggiano il progetto, lo fanno per proteggere il proprio interesse attraverso probabili commesse dirette nella gestione di sentieri e terreni con i sussidi del progetto. Come una sorta di cavallo di troia dunque si propina nell’immaginario collettivo una visione pionieristica che invece si rivelerà essere solamente l’inizio della fine di un settore oggi già in grosse difficoltà e sorretto da veri contadini, appassionati e coerenti”. A dimostrazione delle proprie convinzioni, i contestatari espongono alcune cifre: “Nei preventivi del progetto è previsto un misero ammontare di 70mila franchi annuali a sostegno delle attività agro-pastorali. Per fare un paragone, sono indicati ben 90mila franchi per la cura delle attività transfrontaliere e oltre 200mila per la manutenzione dei sentieri. Paragonata poi alla totalità dei crediti (circa 4,8 milioni) la somma rivela tutta la disparità con la quale tradizione e cultura di questo settore verrebbero riconosciute. Gli alpeggiatori dovrebbero accontentarsi del finanziamento di 1 o 2 collaboratori, mentre il sostegno dovrebbe in realtà essere ben maggiore perché il Parco possa fregiarsi del merito di salvatore della biodiversità e dell’agricoltura delle valli. Questi aiuti non sarebbero nemmeno sufficienti a compensare i danni causati dai grandi predatori attirati dalla tranquillità delle zone centrali!”.
Puntualizzazioni che spingono gli agricoltori a definire il Parco “una sottile minaccia e un freno alle attività innovative, un modello che creerebbe una dipendenza persistente da sussidi. La maniera paternalistica e condiscendente con la quale il Pnl sta trattando con coloro che non necessitano certo di lezioni in materia di agricoltura, lascia indovinare unicamente il perseguimento di interessi secondari e di motivazioni assolutamente pretestuose”.

 

Per le aziende agricole, firmano:

 

Armando e Silvano Donati, Broglio; Mignami Michele e Cristiana, Prato Sornico; Nicola Demartini, Giumaglio; Luigi e Rosa Ernst, Prato Sornico; Daniele Bianchi, Vescio; Federico Laloli, Gordevio; Manuel e Brunella Ribeiro-Ghizzardi, Fusio; Jonatan Bachmann, Lodano; Mauro Giacomini, Brontallo; Elio Biadici, Piano di Peccia; Elio e Flavio Leoni, Cerentino; Girogio Speziale, Bignasco; Rinaldo Dalessi, Cavergno; Valerio e Simone Tabacchi, Fusio; Matteo e Nicola Ambrosini, Peccia; Davide Guerra, Moneto; Lia e Gabriele Dazio, Fusio; Eros Gehringer, Brontallo; Patrick Balmelli, Broglio; Giacomo Fiori, Brontallo; Giorgio e Michele Dazio, Fusio; Adriano Bagnovini, Peccia; Maurizio Minoletti, Linescio; Sergio Torroni, Vogorno; Giordano e Alessandro Bisi, Lavertezzo; Felice Scolari, Lavertezzo; Luigi Panscera, Brione Verzasca; Armando Foiada, Lavertezzo; Daniele Piscioli, Frasco; Gabriele Giottonini, Lavertezzo, Dante Pura, Cugnasco; Pascal e Danielle Favre, Brione Verzasca; Claudio Freddi, Menzonio; Egidio Giovenni, Cerentino; Eros Beroggi, Cerentino; Regula Probst, Campo Vallemaggia; Marzio Coppini, Giumaglio; Carlo Laloli, Gordevio; Claudio Tunzi, Lodano; Luca Landrini, Campo Vallemaggia; Sara Giacomini, Brontallo; Nello Garzoli, Maggia; Mirco Peroni, Moghegno; Brenno Inselmini, Cavergno, Giuseppe Guerra, Moneto; Marco Del Thè, Palagnedra, Maurizio Dazio, Bignasco, Daniele Darni, Mosogno, Fabiano Rauber e Eva Clivio, Spruga, Mattia Rauber e Ana Rauber, Spruga.

 

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