Grigioni

Bufera sanitaria si abbatte sulla clinica di Castaneda

Minacciata la chiusura da parte del Comune per la struttura in cui finora non si usavano mascherine: la dottoressa Wiechel ci ha spiegato il perché.

Ti-Press
6 novembre 2020
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La Swiss Mountain Clinic di Castaneda, clinica privata specializzata in medicina naturale, rischia la chiusura. Di fatto avrebbe già dovuto chiudere i battenti ieri sera, come prospettato nel pomeriggio ai responsabili della struttura sanitaria privata da parte della Polizia grigionese, di rappresentanti giuridici di Coira, dell’Ufficio del medico cantonale e del Comune di Castaneda, ma per il momento la procedura è messa in stand-by. Il motivo di tale dispiegamento di forze è, nel piano di attuazione che era in vigore, il mancato rispetto delle normative per il contenimento della diffusione del coronavirus e in particolare il mancato l’utilizzo della mascherina sia da parte del personale che dei pazienti. Ma la presentazione ieri di un nuovo piano di misure da mettere in atto nella clinica ha sospeso per ora la procedura, come conferma da noi contattato il sindaco di Castaneda Attilio Savioni. Il sindaco aggiunge che già domani gli organi preposti si occuperanno di esaminare il piano di attuazione proposto dai responsabili della Swiss Mountain Clinic e di avanzare eventuali ulteriori richieste; scatteranno anche dei controlli per verificare che tutto venga messo in pratica. A dipendenza dell’esito, verrà decisa o meno la chiusura. La clinica che ospita attualmente una ventina di pazienti ha deciso di mettersi in quarantena (nonostante l'assenza di collaboratori o pazienti con sintomi), ci viene detto dai responsabili. 

‘LaRegione’ ha potuto parlato direttamente con il responsabile medico della clinica, Petra Wiechel, moglie del direttore Ulf Wiechel, la quale ci ha spiegato quanto successo ieri pomeriggio. «È stato terribile, sono arrivati in sei e mi hanno accusata di non essere un bravo medico e di essere un pericolo per le persone solo perché non rispetto quello che hanno imposto loro. Io ho spiegato che in realtà faccio molto più di quanto si possa credere per queste persone. Abbiamo pazienti da tutto il mondo che vengono da noi perché hanno bisogno di trattamenti alternativi e innanzitutto hanno bisogno di ossigeno. Ma non hanno ascoltato una parola e hanno detto imperterriti che la clinica va chiusa e basta. Abbiamo spiegato di avere già un piano di protezione, ad esempio misuriamo la febbre e valutiamo la presenza di altri sintomi a tutti ogni giorno, e lo facciamo da sempre. Abbiamo anche detto che possiamo accettare che si metta la mascherina quando si incontrano altre persone, questo sì». La dottoressa Wiechel insiste sulla responsabilità che in qualità di medico si assume personalmente nei confronti dei pazienti che vengono qui in Calanca per ricevere trattamenti che variano dalla fitoterapia alla medicina ortomolecolare. La famiglia Wiechel ha preso in mano la clinica (che fino a due anni fa si chiamava ‘Paracelsus Al Ronc’) nel 2008. Dodici anni in cui i coniugi spiegano di aver dedicato cuore e anima alla struttura e ai pazienti. «La clinica si occupa di ricercare le cause delle malattie e abbiamo pazienti da tutto il mondo che vengono da noi perché noi sviluppiamo trattamenti individuali. Per quanto riguarda il coronavirus non abbiamo avuto casi di pazienti contagiati e nemmeno di collaboratori. Al contrario ci impegniamo per evitare delle situazioni di ansia e paura. Fuori di qui regna questo sentimento e si dice alle persone di stare in casa e di non incontrare altra gente. La medicina classica però non sa come curare i virus. Perciò è necessario prendersi cura delle persone, controllare i loro livelli di vitamina D, di zinco, le risposte immunitarie, e creare un’atmosfera che permetta alle persone di riposare e stare tranquille». Lo stesso vale, continua la dottoressa, per i 35 dipendenti della clinica. Come detto anche loro non usano la mascherina. «Quando alcuni hanno manifestato l’intenzione di metterla ho chiesto loro per favore di non farlo, per non creare ansia nelle persone che altrimenti pensano ci sia un pericolo. Ma anche perché tratto il personale con la stessa cura che ho per i pazienti, misuro il loro livello di vitamina D e mi assicuro che non vivano in uno stato di ansia», aggiunge il medico.

Per quanto riguarda la comunicazione impiegata dalle autorità sulla pandemia, Wiechel spiega che fin dalla scorsa primavera ha notato come ci si riferisca al numero di persone contagiate dal virus e aggiunge che in realtà tale cifra non ha nulla a che vedere con chi è effettivamente malato. «La positività di un test non significa che la persona sia ammalata o contagiosa e nella stragrande maggioranza dei casi non insorgono sintomi grazie alla risposta immunitaria che ha evitato l’attivazione del virus», aggiunge. 

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