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Arriva il lupo e gli alpeggi si svuotano a... inizio estate

Dopo l'alta Morobbia e la Val Camadra sopra Ghirone, anche San Bernardino e Klosters. Insorge a Berna l'associazione contro il lupo: ‘Ci vuole più polso’

Si sale e si scende dopo appena due settimane (Ti-Press)
5 luglio 2021
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«Se Berna non allenterà l’eccessiva protezione del lupo, i nostri alpeggi ben presto moriranno». Parola di Alberto Toscano, consulente agricolo regionale del Moesano, che nell’Alta Mesolcina di alpeggi ne gestisce cinque per un totale di 350 pecore. Cinque di cui uno, quello di Muccia-Vigon, che dopo la predazione subita martedì scorso è stato scaricato sabato, due/tre mesi prima del previsto. I proprietari svizzerotedeschi degli animali hanno concordato con Toscano che l’evacuazione, dopo appena 15 giorni di estivazione, fosse la soluzione migliore; e tre di questi proprietari gli han già detto che in futuro non porteranno più i loro capi in quella zona. La stessa cosa, sempre nei Grigioni, si è resa necessaria a Klosters dove la predazione di alcune pecore in uno storico alpeggio ha reso impossibile la successiva gestione in quota di un grosso gregge di 700 capi, trasferito al piano dopo una settimana di sorveglianza giorno e notte che non ha portato i frutti sperati a causa di due lupi costantemente presenti nelle vicinanze e pronti all’agguato. Idem la scorsa estate in Val Camadra, sopra Ghirone, dove un gregge aveva potuto trovare riparo nella parallela Val Carassina. Lo stesso destino aveva toccato già nel 2016 l’alpe Poltrinone nell’Alta Morobbia dopo l’insediamento del primo branco di lupi che l’anno prima aveva comportato la sparizione di 45 pecore.

‘Problema reale, non una brutta favola’

Alpeggi, taluni di ottima qualità, che si svuotano anzitempo e rischiano d’inselvatichirsi se di anno in anno non verranno di nuovo caricati durante l’estate. «Sarebbe un vero disastro», concordano Armando Donati e Rico Calcagnini, presidenti delle sezioni ticinese e grigionese dell’Associazione svizzera per la protezione del territorio dai grandi predatori. Calcagnini ricorda che nei Grigioni vi sono cinque branchi di lupi e che quanto successo a Kloster si tratta di una novità per la regione della Prettigovia. Nel comitato figura anche Nadia Filisetti, pure lei attiva sopra San Bernardino con oltre cento capi: «Dal 18 giugno ne mancano all’appello una dozzina. A più riprese e per diverse ore ho battuto il territorio senza esito. Tutto ciò richiede parecchio tempo, crea molto stress e demoralizza anche gli allevatori più motivati. Quanto ai cani da protezione, sono solo una panacea». Per dirla col segretario agricolo cantonale ticinese Sem Genini, «il problema è nel manico. Berna deve assolutamente cambiare rotta nella protezione del lupo, altrimenti per gli allevatori sarà sempre più dura e a farne le spese sarà anche il territorio alpestre nel quale per generazioni si sono investite importanti risorse. Ora che si comincia a parlare di patrimonio alpestre a rischio abbandono, confido che tutti si rendano conto che il problema lupo è reale e non è una brutta favola inventata dagli allevatori».

‘Situazione gravissima e insostenibile’

“Lo scarico di un alpeggio a inizio luglio, fino a pochi anni fa era inimmaginabile; ora invece capita e tutto lascia presupporre che la tendenza continuerà purtroppo anche in futuro. Segno inequivocabile che la situazione sta diventando ingestibile”, attacca un comunicato dell’associazione nazionale presieduta da Germano Mattei. “Ogni allevatore sa quanto stress crea in un gregge uno spostamento come quello avvenuto a Klosters e a San Bernardino. E sa quanto lavoro, quante spese, quanti disagi ad animali e persone, e quante preoccupazioni ciò comporta”. Nei casi recenti non si praticava il libero pascolo, trattandosi di realtà ben sorvegliate e protette: “Si è giunti a tanto perché la situazione è diventata gravissima e insostenibile”. Mattei giudica encomiabile l’offerta di collaborazione da parte di Pro Natura Grigioni di mettere a disposizione dei volontari (40 sono stati formati, altri 30 lo saranno presto) per la sorveglianza e la dissuasione, offerta che tuttavia non sembra venire recepita dagli allevatori: “Sorge infatti spontaneo qualche legittimo dubbio sull’efficacia, perché se dei pastori esperti non sono riusciti a gestire queste realtà, come potranno riuscirci dei volontari che non conoscono il territorio? È veramente per salvaguardare la pastorizia che si vuol prestare aiuto, oppure c’è anche un sottile intento-alibi di far credere che il problema dei grandi predatori si possa risolvere facilmente, coinvolgendo qualche volontario?”. E ancora: “Come mai la Confederazione ha rinunciato al Gruppo di pronto intervento che negli scorsi anni, in casi analoghi, agiva con cani da protezione?”.

Appello a Berna: ‘La Francia fa scuola’

Da qui la “forte e puntuale critica” che l’associazione, in collaborazione con le sezioni ticinese e grigionese nonché con l’Unione contadini ticinesi, rivolge alle autorità federali. Infatti “nonostante pressanti e ripetuti richiami giunti da più parti, per anni si è lasciato che il lupo si espandesse senza alcuna limitazione”. Ora, con l’abbandono di taluni alpeggi, “siamo giunti alle gravi conseguenze che preannunciavamo già diversi anni fa”. D’altronde talune soluzioni già introdotte altrove sembrano dare risultati positivi: “In Francia per le realtà in cui le misure di protezione non bastano, si sono introdotti dal 2018 i tiri di dissuasione, difesa e contenimento basati su uno specifico regolamento”. Le autorità federali vengono perciò nuovamente sollecitate “affinché valutino con urgenza la possibilità d’intraprendere anche in Svizzera misure analoghe, oltre alla protezione delle greggi già in atto”. Mattei e colleghi sostengono che sia “l’unica e ultima possibilità che ci resta per salvaguardare la pastorizia sulle Alpi”. Dal canto suo il Consiglio federale, nel rispetto della Legge federale sulla caccia, ha recentemente modificato l’Ordinanza di applicazione abbassando il numero di capi predati che consente di sopprimere il lupo problematico; una soluzione di compromesso che soddisfa le associazioni ambientaliste ma non quella che mira a un territorio senza grandi predatori, secondo cui occorrerebbe introdurre la facoltà di tiri preventivi come già fatto in Francia.

‘Siamo all'inizio della fine’

L’inselvatichimento degli alpeggi «è irreversibile e la successiva impossibilità di sfruttarli crea conseguenze pesantissime», annota Rico Calcagnini temendo che si sia «all’inizio della fine» e aggiungendo che l’utilizzo dei cani da protezione «mal si concilia col turismo pedestre molto presente nei Grigioni: soluzione di difficile gestione, che richiede importanti investimenti e non è ovunque applicabile», come testimoniano talune situazioni di conflitto segnalate nell’Alta Val di Blenio e nella zona del Monte Bar. Lasciare le alture, aggiunge dal canto suo Alberto Toscano, comporta conseguenze negative anche nel fondovalle, dove occorre mettere a disposizione in estate quei prati il cui fieno dovrebbe invece venire usato come foraggio invernale: «Foraggio che rimane invece immangiato sull’alpe, ciò che genera un impoverimento della biodiversità e l’inselvatichimento. Non da ultimo, gli alpeggi in cui vengono trasferite le greggi subiscono un carico eccessivo dal profilo del letame. Ci sono poi conseguenze immediate per l’alpatore, che perde i contributi federali previsti ma rimane con importanti spese da pagare come affitto e personale». E a chi sostiene che i cani da protezione siano una buona soluzione, risponde che «al momento non ve ne sono a sufficienza di formati, che occorre anche formare i pastori per la loro gestione e realizzare in quota apposite strutture oggi inesistenti. Tutto ciò richiede anni, senza contare i conflitti col turismo – conclude Toscano – e le responsabilità che ricadono sul proprietario del cane in caso di ferimento di una persona».

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