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Tre i ‘bombaroli’ delle Scuole Sud a Bellinzona

Esplosioni in città: indagati quattro giovani (di cui uno recidivo per i famigerati botti di due anni fa), più un 62enne che custodiva il materiale

Durante l'esplosione alle scuole erano andati in frantumi i vetri di alcune finestre (Ti-Press)
28 luglio 2020
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Si è chiusa negli scorsi giorni l’inchiesta penale che mirava a chiarire le esplosioni e i danneggiamenti avvenuti rispettivamente il 26 febbraio (durante l'ultima nottata di Rabadan) nei pressi delle Scuole elementari Sud a Bellinzona e il 13 marzo in via Golena, vicino allo stand di tiro, sempre in città. In totale sono cinque le persone che dovranno rispondere di reati legati ai due episodi, come comunicano Ministero pubblico, Magistratura dei minorenni e Polizia cantonale. Ma non solo: l’indagine durata svariati mesi – viene sottolineato – ha permesso di ricostruire numerosi altri fatti analoghi registrati in precedenza nel distretto, a cominciare da fine 2017. Indagini che hanno permesso di fare piena luce, in particolare, su ruoli e responsabilità nell’evento di maggior gravità, vale a dire l’esplosione di un ordigno rudimentale nel piazzale delle Scuole Sud. Una detonazione che ha causato ingenti danni materiali (il cui costo è stimato in circa 50mila franchi) specie alle vetrate mandate in frantumi. I presunti autori sono un 21enne svizzero fermato il 13 marzo subito dopo l'esplosione in via Golena, un 20enne di nazionalità spagnola e un 17enne pure straniero, tutti domiciliati nel Bellinzonese. Il 21enne, definito il principale imputato dell’accaduto, si trova tutt'oggi in stato di detenzione preventiva poiché recidivo specifico essendo il responsabile dei cosiddetti ‘botti di Bellinzona’. Al momento del fermo lo scorso marzo era stato intercettato un altro 21enne, ma gli inquirenti ritengono che quest’ultimo sia stato coinvolto solo nell'episodio di via Golena (dove si è aperto un cratere di un metro profondo 30 centimetri) e non in quello delle Scuole Sud. Oltre ai quattro giovani gli accertamenti hanno anche permesso di risalire all’identità di un 62enne italiano residente nel Bellinzonese. La colpa? Aver custodito parte del materiale pirotecnico all’origine dell’esplosione di via Lugano. Le principali accuse di cui i protegonisti dell’inchiesta dovranno rispondere sono quelle di danneggiamento, esplosione, uso delittuoso di materie esplosive o gas velenosi, delitto contro le Legge federale sugli esplosivi. L’inchiesta è coordinata dalla procuratrice pubblica Petra Canonica Alexakis e dalla Magistratura dei minorenni.

I botti di due anni fa: è lui il colpevole

Per diversi mesi tra la fine del 2017 e l'inizio del 2018 le notti di Bellinzona erano state scosse da anomale detonazioni. Chi le udiva in zona stadio, chi a Giubiasco, chi in golena, chi nel centro storico. Da nostre informazioni risulta che il 21enne oggi in stato di detenzione preventiva perché recidivo specifico, è risultato essere appunto l'autore dei cosiddetti ‘botti di Bellinzona’. Fermato il 6 marzo 2018, era stato rilasciato ma due anni dopo, come s'è visto, è rifinito in manette. Allora l'inchiesta coordinata dal procuratore pubblico Moreno Capella stabilì l'inesistenza di motivi particolari (rabbia o vendetta); voleva solo divertirsi. Contro di lui tre mesi prima la procuratrice Pamela Pedretti aveva peraltro aperto un procedimento penale per furto, danneggiamento e violazione di domicilio. In quei frangenti nessuna delle persone da lui indicate a verbale (più che altro amici che si portava appresso desiderosi di assistere allo ‘spettacolo’) era risultata coinvolta nelle esplosioni. Oggi, come detto, il quadro appare un po' diverso. Nella primavera 2018 la 'Regione' svelava che il giovane comprava i petardi in Italia (nelle zone di confine) essendo in Svizzera vietati. Al momento di azionarli ne assemblava diversi e li infilava nei cassonetti dei rifiuti per raggiungere l’obiettivo: generare una fortissima detonazione udibile a chilometri di distanza. E godersi il momento, ovvero l’eco mediatica generata, episodio dopo episodio, dal suo comportamento massicciamente commentato sui social per diverse settimane. Poi il fermo, avvenuto grazie alle testimonianze raccolte dalla polizia e al materiale residuo di uno scoppio trovato dalla Polizia cittadina vicino all’ex Stallone. D'aiuto sono state anche le immagini di un impianto di videosorveglianza che aveva ripreso l'esplosione avvenuta davanti alla vetrina di un negozio del centro storico. Considerata la sua situazione personale e familiare, la Procura lo aveva a allora segnalato ai servizi sociali, dov’era peraltro già noto.

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