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Il ritorno dell’ombra del fascismo

Nidesh Lawtoo, intellettuale mesolcinese e professore di filosofia e letteratura inglese all’università di Lovanio, racconta il suo saggio ‘(Neo)fascismo. Contagio, comunità, mito’

“Quando lo vidi in scena, mi ricordò una frase di Nietzsche: Ci saranno epoche in cui gli attori saranno i veri sovrani” (Archivio Keystone)

Nidesh Lawtoo, intellettuale mesolcinese e professore di filosofia e letteratura inglese all’università di Lovanio, racconta il suo saggio ‘(Neo)fascismo. Contagio, comunità, mito’

5 settembre 2020
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L’ultimo libro di Nidesh Lawtoo inizia, in un certo senso, con una confessione. Nell’introduzione Lawtoo racconta che, nell’estate del 2016 – mentre si appresta a lasciare gli Stati Uniti dopo un soggiorno di ricerca presso la Johns Hopkins University –, ha la sensazione che qualcosa stia cambiando nel clima politico statunitense.

In quel periodo, gli episodi di violenza nel quartiere dove abita con la sua famiglia, a ovest di Baltimora, diventano sempre più frequenti. Sono i mesi in cui Donald Trump sta guadagnando popolarità nella corsa alla Casa Bianca. Nel racconto di Lawtoo le due cose – l’intensificazione della violenza e l’ascesa al potere di Trump – appaiono, in qualche modo, collegate.

Certo, ‘(Neo)fascismo. Contagio, comunità, mito’ (Mimesis, 2020) non è un racconto autobiografico, è un libro di filosofia. Ma è anche un saggio che nasce da una sorta di istinto di sopravvivenza. Lo si intuisce dalle parole dell’autore quando ricorda che «un bambino di quattro anni nella classe parallela di mio figlio rimase ucciso quell’inverno. Le circostanze della sua morte raddoppiarono lo shock. Aveva trovato un’arma da fuoco in casa sua: era carica. Suo padre, come si venne a sapere in seguito, era un poliziotto. Quindi sì, eravamo pronti a muoverci».

Un episodio di violenza, quello che racconti nel tuo libro, e un clima di irrequietezza politica che lascia presagire l’elezione di Trump nell’autunno del 2016. Non sono dei dettagli aneddotici, ma dei segnali che hanno inciso in maniera importante sulla tua scelta di scrivere ‘(Neo)fascismo. Contagio, comunità, mito’: un saggio, scritto in inglese e ora tradotto in italiano, sul ritorno di forme politiche che ricordano molto i fascismi storici…

Si, quell’episodio risuona, non a caso, con quel che sta succedendo proprio ora, anche se questo non potevo saperlo quando ho iniziato a scrivere il libro nel 2016. Ci sono eventi che hanno un potere di contagio imprevisto, sia nel bene (proteste contro il razzismo) che nel male (elezioni di leader d’estrema destra con tendenze autoritarie). Nel libro spiego che questi leader non bisogna semplicemente chiamarli populisti, visto che opprimono il popolo, ma che non sono neppure da assimilare completamente al fascismo. Li chiamo “(neo)fascisti”, con delle parentesi per rendere attenti sia alle analogie che alle differenze con il fascismo storico degli anni 1920 e ‘30.

Negli Stati Uniti, quando ho cominciato a pensare al pericolo del (neo)facismo, la tendenza dominante nel mondo accademico era di prendere il caso Trump alla leggera. Dopotutto, non sapeva nulla di politica, si esprimeva in modo sempliciotto e volgare, e se era conosciuto, lo era piuttosto come intrattenitore di uno show televisivo, The Apprentice. Quando lo vidi in scena, mi ricordò una frase di Nietzsche che avevo utilizzato nel mio primo libro, ‘Il Fantasma dell’io’, e che dice: “Ci saranno epoche in cui gli attori saranno i veri sovrani”. Nietzsche, come altri modernisti, era attento al potere degli attori di mobilitare il registro delle emozioni per influenzare le masse. Avevo studiato questo fenomeno da vicino e quando vidi Trump non mi fece ridere, ma lo presi sul serio. In quanto attore, capiva perfettamente il potere di contagio della mimesi (imitazione). Lasciati gli Stati Uniti, decisi quindi di utilizzare parte della ricerca di un progetto Erc intitolato ‘Homo mimeticus’ per diagnosticare il ritorno, non del fascismo storico, ma dell’ombra del fascismo, o (neo)fascismo.

Oltre al fenomeno del (neo)fascismo, al centro del tuo libro ci sono altri tre termini: contagio, comunità, mito…

Esatto. Oltre all’ipernazionalismo, il razzismo, il militarismo, l’uso sistematico delle menzogne, dei capri espiatori, una delle caratteristiche principali di leader (neo)fascisti sta nel mobilitare il registro di emozioni mimetiche, sotterranee, e violente per approdare al potere. È un fenomeno conosciuto che Umberto Eco, già negli anni 1990, considerava centrale e che chiamava l’Ur-Fascismo, ma è anche un fenomeno cangiante, che si adatta a contesti nuovi, e che è ancora poco capito. Il libro prende spunto da Eco e altri filosofi, e si concentra sul registro emotivo del fascismo. Lo fa adottando tre prospettive legate al tema della mimesi, e che risultano centrali per capire il successo di leader (neo)fascisti nel nostro presente.

Schematicamente, il capitolo sul contagio spiega perché quando siamo parte di una massa o, come succede ora, di un pubblico virtuale, le emozioni si trasmettono tramite “contagio.” Psicologi delle folle come Gustave Le Bon si ispirarono alla scoperta dei microbi per dare forma al loro concetto di contagio, e lo applicarono all’ inconscio mimetico delle masse. Nuovi social media come Twitter e Facebook hanno il potere di infettare l’opinione pubblica con ideologie che non si basano sui fatti, eppure convincono tramite il contagio mimetico, appunto.

E il tema della comunità?

Quello è legato alla tendenza, propria al (neo)fascismo, a creare muri tra una nazione e l’altra, il fuori e il dentro, in modo gerarchico e violento. Il capitolo si concentra sul filosofo francese Georges Bataille, uno dei primi a studiare il fascismo in Francia, e dimostra come il concetto di comunità (che nella filosofia di oggi va molto di moda) è genealogicamente legato al fascismo storico. Bataille notava che leader come Mussolini e Hitler generavano fenomeni affettivi di “attrazione e repulsione” che erano centrali nella psicologia del fascismo. Violenza, scandali sessuali, trasgressioni di tabu, sono la parte maledetta del (new) fascism che, con i new media, viene ulteriormente amplificata; in questo senso il “new” nel (new) fascism concerne soprattutto i nuovi media.

E poi c’è il potere del mito?

Sì, il mito della grande nazione, dei popoli eletti e di razze superiori, sebbene si basi su delle menzogne, fornisce un potente strumento di identificazione. Capire come l’identificazione funziona in uno show televisivo come The Apprentice, per esempio, aiuta a capire il fenomeno sconcertante dell’elezione del presidente apprendista. Questo pericolo è di nuovo attuale negli Stati Uniti, che si preparano allo show delle campagne presidenziali, ma pure in Europa, che dal canto suo si prepara a fronteggiare una crisi economia. Bisogna dunque stare in guardia.

L’analisi storica di questi tre temi (contagio, comunità, mito), che nel tuo libro porti avanti in modo molto lucido, è legata al metodo genealogico. Puoi dirci di più sull’importanza di questo metodo nell’economia del tuo libro e, più in generale, nel tuo lavoro di ricercatore?

Si il mio non è un libro di storia ma si basa su un metodo che, ispirandomi da Nietzsche, chiamo genealogico, e che presuppone che capire il passato è importante, ma non dovrebbe essere un fine a sé stesso. Se mi concentro sull’uso del contagio, del mito e della comunità nel fascismo storico, lo faccio per cercare di capire il (neo)fascismo attuale. Si tratta quindi di una duplice prospettiva, da Giano bifronte, che si gira indietro per guardare in avanti. Il metodo genealogico è molto interdisciplinare, perché combina la ricerca storica con la filosofia, la teoria letteraria, la psicologia, la sociologia, e persino i film/media studies.
Il mondo accademico si divide in discipline, ed è importante specializzarsi in una tradizione di pensiero. Ma bisogna pure riconoscere che viviamo in tempi di grande cambiamento in cui i problemi – dal (neo)fascismo alle pandemie, fino al cambiamento climatico – non possono essere ridotti allo sguardo di una sola disciplina, ma richiedono sempre più diagnosi transdisciplinari per essere capiti.

Pubblicato in inglese la scorsa estate e ora disponibile in traduzione italiana, il tuo libro continua a risuonare con episodi politici e sociali recentissimi. In questo senso, la gestione politica e mediatica del Covid-19 di alcuni paesi, e l’ondata di indignazione causata dalla morte di George Floyd, sembrano confermare le argomentazioni che sviluppi nel tuo libro.

Si, è sorprendente vedere come il tema del contagio, che era marginale quando ho cominciato a scrivere è ora visibile a così tanti livelli, compreso quello planetario! Nel caso della crisi pandemica si tratta certo di un contagio virale, ma come ci siamo accorti tutti, il virus Covid-19 non si può dissociare da un contagio emotivo. Siamo al cospetto di sentimenti come l’ansia e la paura – ma pure positivi come la compassione e la solidarietà – che si manifestano a distanza, cavalcando i (nuovi) media. Leader politici come Trump, Bolsonaro in Brasile, o Orbán in Ungheria, utilizzano il contagio emotivo a fini autoritari, per dirigere la responsabilità verso altre nazioni, disseminare disinformazione, amplificare la violenza, mobilitare le forze armate, e sfruttare lo stato di necessità a fini (neo)fascisti.
Se poi avevamo ancora dubbi che il razzismo sistemico negli Usa, ma non solo, conduce a tattiche militari (neo)fasciste, l’immagine di George Floyd soffocato dalla polizia, e l’uso delle forze armate contro proteste pacifiche che rivendicano ciò che, nel ventunesimo secolo, dovrebbe essere ampiamente acquisito (Black Lives Matter) – ma che purtroppo ma non è lo ancora –, dovrebbero farci riflettere. Confermano che il (neo)fascismo è un fenomeno da prendere sul serio. Sia la crisi pandemica che i movimenti antirazzisti sono dunque direttamente in linea con il libro. Da una parte, ricordano che la storia non si ripete ma che i fantasmi fascisti del passato trovano scintille nelle crisi del presente che hanno un potere di contagio globale. Dall’altra, ricordano pure che gli umani sono degli esseri mimetici mossi da compassione e solidarietà, entrambe emozioni che si diffondono per contagio positivo. Il libro non offre un vaccino contro la mimesi. Spero però che aiuti a fare un passo contro il (neo)fascismo.