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Vent'anni senza Giuseppe Buffi

Il 20 luglio 2000 ci lasciava il consigliere di Stato liberale radicale. Il ricordo nelle parole di Mauro Dell'Ambrogio, Franco Celio e Bixio Caprara

Foto: Opinione Liberale

Il 20 luglio 2000 ci lasciava il consigliere di Stato liberale radicale. Il ricordo nelle parole di Mauro Dell'Ambrogio, Franco Celio e Bixio Caprara

20 luglio 2020
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«Eravamo complementari, ma anche molto complici». Mauro Dell’Ambrogio lo conosceva bene Giuseppe Buffi, di cui oggi ricorre il ventesimo anniversario della scomparsa avvenuta quando era presidente del Consiglio di Stato. Una conoscenza che risale, confida a ‘laRegione’ l’ex Segretario di Stato per l’educazione e la ricerca, «a quando abbiamo iniziato a fare politica, io a Giubiasco e lui a Bellinzona. Poi ci siamo ritrovati negli anni Ottanta quando entrando in Consiglio di Stato ha preso il dipartimento di Polizia e io ero comandante della Polizia cantonale, iniziando a collaborare». Si era solo all’inizio, «perché poi mi chiese di andare con lui al dipartimento della Pubblica educazione, gestendo il progetto universitario che avrebbe poi portato alla creazione dell’Università della Svizzera italiana».

Questo, ricorda, «fu il momento clou della collaborazione». Quando si trattò di lanciare il progetto, ricorda Dell’Ambrogio, «Buffi ha mostrato tutta la sua caparbietà, tutto il suo carattere: è andato all’essenziale, senza perdersi nei meandri. Perché dell’università ne parlavano un po’ tutti, ma forse appunto per questo era difficile arrivare a un progetto che potesse raccogliere un consenso sufficiente perché poi si concretizzasse». Buffi, in questo, «ebbe l’intuito di dire, rompendo con tutto quello che era stato fatto fino a quel momento, che non bisognava aspettare che gli altri cantoni universitari o la Confederazione ci dessero il permesso o ci dicessero cosa fare. Fu fatta la scelta di avere un nostro progetto, crederci e portarlo avanti».

La nascita dell'Usi, per Dell'Ambrogio 'un capolavoro politico'

Con mediazione, «nel 1993 riuscì a evitare lo scontro con la Città di Lugano, che aveva un progetto suo, e si ottenne l’ottimo risultato di far confluire tutto in un’unica idea». Per Dell’Ambrogio, che dell’Usi fu per tre anni il primo segretario generale, «si è trattato di un capolavoro politico da parte sua, ottenuto costruendo un consenso generale partendo da interessi diversi e posizioni di vario genere. Buffi fu capace di non mettersi in prima fila rivendicando la paternità o la proprietà di un concetto, di un progetto. Comportarsi così probabilmente avrebbe reso impossibile la riuscita. Il suo talento fu di lasciare che anche altre idee confluissero in un progetto unico, credibile e vincente». Ed è proprio partendo da questo ricordo e da una delle principali eredità che Buffi ha lasciato al Ticino che Dell’Ambrogio racconta come «avesse la capacità innata di essere estremamente attento alle sensibilità altrui e di non urtarle. Ma quando poi si trattava di risolvere le questioni, sapeva essere fulminante». Questo «senza mai essere o diventare autoritario, semplicemente quando capiva che bisognava andare verso una certa direzione si prendeva quella strada, punto». E no, «non tornava indietro. Non era titubante, era deciso e risoluto nel fare le cose. Magari limava qualche angolo, ma senza innestare la retromarcia come purtroppo spesso succede ai politici quando vengono sottoposti a mille pressioni».

Un modo di fare che per Dell’Ambrogio affonda nella carriera giornalistica (è stato direttore de ‘Il Dovere’, vedi biografia in fondo alla pagina, ndr.) che Buffi ha avuto prima di darsi alla politica: «Questo suo modo di comportarsi nella cosa pubblica e nei rapporti politici era il suo stile anche da giornalista: prima di pubblicare una notizia spinosa si verifica bene che sia fondata, ma quando si ha il convincimento di avere tutto pronto e con la consapevolezza che non si rischia una denuncia, si pubblica». Insomma, «non posso definirmi suo allievo. Ma il nostro rapporto è stato sempre corretto, cordiale e arricchente» conclude Dell’Ambrogio.

Celio: 'Quella volta che Fulvio Pelli...'

«Sornione, ironico e conciliatore». Con questi tre aggettivi l’ex granconsigliere e memoria storica del Plr Franco Celio ricorda dal canto suo Buffi. Aggiungendo che, negli ultimi tempi, «forse si era caricato troppo di lavoro con l’accettare la presidenza del Festival di Locarno, e sembrava anche volesse diventare presidente del partito proposto da Marina Masoni, riflettendo il tandem per la corsa al Consiglio di Stato del 1995. E al riguardo ricordo che Fulvio Pelli, in un comitato cantonale, si era scagliato contro questa candidatura».

Caprara: 'Idealista e pragmatico, affezionato ai valori liberali radicali'

E a vent’anni dalla sua morte qual è il ricordo del presidente del Plr Bixio Caprara? Qual è secondo lui l’eredità che è stata lasciata al Canton Ticino dalla politica di Buffi? «Il grato ricordo di Giuseppe Buffi è certamente legato alla nascita dell’Università della Svizzera italiana» ci risponde. Vale a dire «un progetto gestito con grande tenacia e sapienza. Buffi riuscì a far superare al Ticino un campanilismo e un regionalismo che ancora oggi troppo spesso blocca riforme strutturali indispensabili». Passando al Partito liberale radicale ticinese, invece, per Caprara «l’operato di Buffi dovrebbe ricordarci che la cultura politica del nostro partito è caratterizzata da visioni a favore di progetti che permettono al Paese di crescere. Oggi, ad esempio, questi progetti si chiamano digitalizzazione, crescita sostenibile e qualità delle cure ospedaliere. E vanno sostenuti con energia e convinzione, privilegiandoli rispetto a piccole lotte intestine fini a sé stesse». E dal punto di vista dei valori «fondamentale è sempre stato il suo approccio idealista e pragmatico orientato al risultato ma coerente agli ideali cari ai liberali radicali. Libertà e responsabilità individuale, coesione e attenzione a chi è davvero in difficoltà, progresso e innovazione non sono parole vuote ma indicano la rotta da seguire soprattutto in tempi difficili come gli attuali».

E riguardo non al politico, ma all’uomo Buffi a Caprara fa piacere ricordare che «con lo sport aveva un rapporto direi piuttosto tiepido pur rientrando nelle attività del suo dipartimento. Un amico comune, capitava di rado, un giorno riesce a portarlo a una seduta di allenamento che svolgevo settimanalmente con un gruppo di amici. Durante la partitella finale di unihockey Buffi segna una rete. Lui si gira rivolto ai compagni di squadra con quell’aria sorniona che lo caratterizzava e dice “è la prima soddisfazione della giornata”. Un’autoironia che ritroviamo anche nei suoi splendidi articoli raccolti nel libro “Troppo facile amico”, che rimangono di grandissima attualità».

La biografia

È la sera del 20 luglio 2000. Chioggia, conosciuta anche come ‘Piccola Venezia’ perché affacciata sulla laguna e perché Venezia, e il suo lido, li guarda dritti verso nord. Giuseppe Buffi è alla guida della sua auto quando, colpito da un attacco di cuore, muore all’età di 62 anni. Una vita vissuta gradino dopo gradino, tappa dopo tappa. Nato a Locarno il 26 settembre del 1938, lì ha condotto gli studi magistrali ottenendo la patente d’insegnamento secondario. Dopo aver svolto la professione per tre anni nelle scuole maggiori di Bellinzona, Buffi ha intrapreso la carriera giornalista a ‘Il Dovere’, il quotidiano ufficiale del Partito liberale radicale ticinese, di cui dal 1975 al 1986 è stato direttore succedendo a Plinio Verda. Prima, e in seguito parallelamente, ha avuto il via la sua carriera politica. Dal 1971 al 1986 è stato deputato in Gran Consiglio per il Plr, dove ha ricoperto anche il ruolo di capogruppo. Nella sua esperienza nel Legislativo Buffi è stato primo firmatario di un’iniziativa per la soluzione del problema ospedaliero a livello cantonale e promotore di un potenziamento, accolto poi dal parlamento, della legge sugli alloggi economici. Nel contempo, dal 1976 al 1986 è stato anche municipale di Bellinzona, capodicastero delle Finanze e pianificazione. Del capoluogo è stato anche vicesindaco fino a quando, era il 2 maggio 1986, subentra in Consiglio di Stato al dimissionario Carlo Speziali dirigendo i dipartimenti Pubblica educazione e interni (1986/1987), Polizia e Pubblica educazione (1987/1991), Pubblica educazione e militare (1991). Tra 1992 e 2000, con la riforma dell’Amministrazione, diventa capo del dipartimento Istruzione e cultura, di cui è rimasto alla testa anche dopo le elezioni cantonali del 1995 e del 1999. Alla sua morte gli è succeduto in Consiglio di Stato l’allora consigliere nazionale Gabriele Gendotti.