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'Un 10% della popolazione potrebbe trovarsi di nuovo confinata'

Intervista al virologo Giorgio Palù sugli scenari del post-lockdown. L'aumento dei contagi sarà inevitabile e non potremo contare sull'immunità di gregge

I navigli di Milano l'8 maggio 2020 (Keystone)

Intervista al virologo Giorgio Palù sugli scenari del post-lockdown. L'aumento dei contagi sarà inevitabile e non potremo contare sull'immunità di gregge

12 maggio 2020
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"Non sarà un liberi tutti", aveva avvertito Giuseppe Conte. Ma sono bastati pochi giorni a vedere ignorata nei fatti la raccomandazione del presidente del Consiglio italiano a non vanificare il contenimento dell'epidemia di Covid-19 in due mesi di confinamento in casa. Le immagini dell'affollamento dei luoghi d'incontro di città come Milano, focolaio ancora acceso del contagio, parlano da sole. Comprensibile, più che comprensibile la voglia d'aria e di compagnia, ma non si tratta solo di frivolezze: la stessa prudenza di Conte è messa alla prova dall'urgenza di rimettere in moto la macchina produttiva per scongiurare un tracollo economico del Paese e un disastro sociale le cui avvisaglie sono già riconoscibili. Ma come rendere compatibili la libertà di movimento e le urgenze economiche con l'imperativo di scongiurare il ritorno ai giorni in cui i morti si contavano a molte centinaia?

Giorgio Palù, professore emerito all’Università di Padova, presidente uscente della Società europea di virologia, e professore di neuroscienze alla Temple University, di Philadelphia, ha più volte sollecitato politica e società ad adottare un approccio pragmatico a una situazione inedita quantomeno per la vastità del contagio e lo shock che ha procurato. E torna a farlo anche nell'intervista che ci ha rilasciato.

Professore, il calo dei contagi che ha preceduto, e consentito, la cosiddetta ‘riapertura’, sembra confermare la necessità e l’efficacia delle misure di isolamento. Al loro allentamento corrisponderà necessariamente un nuovo aumento dei contagi?

“Sì, direi che bisogna attendersi un aumento dei contagi contestuale alla ripresa delle attività e della circolazione delle persone. C’è un rapporto matematico che lo spiega.

Si è già visto che la discesa del numero di contagi è stata ben più lenta della loro crescita. La curva dipende essenzialmente da tre parametri: il numero dell persone infettate, il periodo in cui l’infezione viene albergata in un soggetto infettato, e il numero di contatti. Ora, poiché il numero di infettati è diminuito, a parità di durata dell’infezione è stato il numero di contatti ad aver mantenuto la curva  elevata per un certo tempo. Specularmente, si può già dire che dopo la fine della quarantena di massa i contatti aumenteranno di conseguenza.

Lo scenario è abbastanza chiaro: i contatti aumenteranno e la popolazione esposta al contagio crescerà. Per intenderci le ricordo che in Italia la percentuale di persone che non  hanno incontrato il virus è superiore al 90%, a seconda delle aree. Forse in alcune zone della Lombardia la prevalenza del contagio sarà intorno al 10%; al sud 1-2%... Si aggiunga che, non solo in Italia, l'infezione si è manifestata in forma alquanto eterogenea e asincrona.

Che fare, allora? O ci si barrica in casa per un tempo indeterminato, o si affronta il virus, facendo come si è fatto in circostanze simili in passato: la popolazione esposta si incontra: c’è chi supera l’infezione (abbiamo pur sempre un sistema immunitario che ci difende da questi invasori microbici) e chi no.

È chiaro però che non possiamo ragionare in termini estremi: se chiudiamo tutto l’economia va in rovina  e non si potranno più garantire salute e previdenza. Nello specifico, in Italia siamo già ben oltre la recessione, si prefigura una bancarotta, un calo del pil drammatico. 

Dunque bisogna riaprire, ma calcolando bene i rischi con un approccio che non può essere un'alternanza di aperture e chiusure. Con numero così elevato di persone ancora suscettibili di venire contagiate dobbiamo prepararci alla formazione di focolai ancora maggiori di quelli che abbiamo conosciuto, e disporci a contenerli: controllando chi va al lavoro, stilando un'anagrafe basata sugli esami sierologici e sui tamponi, i contatti, lavorando sulla tracciabilità delle persone. Le aziende che riprendono la produzione devono a loro volta essere sottoposte a controlli periodici da parte di personale medico che verifichi il rispetto delle distanze e dei protocolli di sicurezza, e che le persone potenzialmente a rischio siano monitorate con criteri rigorosi dal punto di vista virologici e epidemiologici.

Resta chiaro che va contemplata la necessità di rimettere in isolamento una o più aree qualora e dove si manifestasse un nuovo caso, individuando i contatti primari secondari e terziari del caso positivo. Il che significa che fino a un dieci, quindici per cento di popolazione potrebbe ritrovarsi di nuovo confinata in casa”. 

In termini scientifici l’immunità di gregge è una prospettiva fondata? Al punto da sostituirsi a un vaccino? O sono indirizzi complementari?

“In realtà il vaccino stesso genera un’immunità di gregge. Mentre per ‘via naturale, nel caso di un'infezione come questa di Sars-Cov-2 - con un numero di replicazione basale, l’R0,situato tra tra 2 e 3 -  l’immunità di gregge si raggiunge quando un 70% della popolazione è già immunizzato ha cioè già incontrato il virus o si è vaccinato. Un quadro al momento irrealistico, tenuto conto, come le ho detto, che oltre il 90% della popolazione è ancora suscettibile di venire contagiata. Provi a pensare alla quantità di morti che dovremmo mettere in conto…”.

Nelle discussioni sull’opportunità di passare alla cosiddetta ‘Fase 2’ si è generata una sorta a contrapposizione tra le ragioni economiche e quelle di salute pubblica. Ha fondamento un confronto in questi termini?

“Non mi stupisce che sia avvenuto. Le posso piuttosto dire che l’approccio scientifico in situazioni di questo tipo (come nel 2014 quando si discusse di modificazioni genetiche di virus, o nel caso della ‘biologia sintetica’ o della modificazione dell’ambiente attraverso il ‘gene drive’, estinguendo intere popolazioni di insetti rendendoli sterili) si è basato sull’analisi del rischio e dei benefici. Vale lo stesso nel nostro caso: è più grave il rischio di finire in default o quello della riaccensione della pandemia? È chiaro che non può esserci una risposta precisa. Come ricercatore dovrei privilegiare la tutela della vita, ma non sono tanto ottuso da non capire che senza un’economia sana non posso sostenere ricerca, sanità pensioni”. 

La questione è che la norma per voi scienziati è la continua revisione delle vostre risultati, mentre ai politici si chiedono risposte operative in tempi che consentono poca riflessione...

“Certo, però vi sono situazioni in cui i politici dovrebbero agire ascoltando gli argomenti della scienza, accogliendone i principi. In particolare il procedere per tentativi che possono essere corretti quando si dimostrano inadeguati. La scienza avanza per ipotesi e non è certa di che cosa sia la verità, verso la quale avanza sperimentando. Dunque anche l’esame di un quadro economico da riattivare deve assumere i suoi rischi e contemplare la necessità di essere corretto in corso d'opera..."

"Anche la riattivazione economica deve essere pronta a venir corretta in corso d'opera"

La “nuova ondata” è considerata inevitabile: come affrontarla e quanto temerla?

“Non possiedo la sfera di cristallo, ma come ricercatore posso risponderle facendo riferimento alle lezioni del passato. Se guardiamo ai coronavirus che hanno preceduto Covid-19, vediamo che due si sono estinti o quasi: la Sars si è estinta e la Mers altrettanto, salvo casi sporadici che si mantengono nell'ospite intermedio che è il dromedario. Ma parliamo di virus che avevano infettato meno di diecimila persone nel mondo; oggi parliamo invece di milioni. 

Allora ha più senso confrontarci con i coronavirus dei raffreddori, anch’essi zoonotici, cioè di origine animale, e che si ripresentano puntuali ogni anno. Se osserviamo le pandemie che interessano l’apparato respiratorio constatiamo che l'influenza ha una contagiosità molto simile a Covid-19, ma i virus che la provocano, pur ripresentandosi nella stagione invernale si fanno 'più umani', meno virulenti.

Quello di cui parliamo è un coronavirus ormai umanizzato molto più della Sars, con un'affinità per i nostri recettori, e per le nostre cellule dieci, trenta volte superiore. È un virus che riconosce l'uomo e ha tutto l'interesse a non uccidere l'ospite poiché ne va della propria esistenza. 

La mia considerazione è che infine la sua letalità si confermerà del 2-3%, bassa in termini epidemiologici. E quando avremo fatto sufficienti tamponi potrà anche scendere all’1%. Il che non significa che sia da considerare meno pericoloso, vista la sua capacità di contagio. 

Penso perciò che è da attendersi la ‘nuova ondata’, quando il virus sarà magari mutato, come è avvenuto con l'influenza e l’Hiv, e come sta già avvenendo negli Stati Uniti. Vedremo se avrà mantenuto la sua virulenza, confidando comunque sullo sviluppo degli anticorpi di cui nel frattempo si sarà dotato il nostro organismo e che potranno difenderci dalla sintomatologia più grave. Poi ci penserà un vaccino”.