Mondiali di hockey

Leonardo Genoni: "Non sono ancora una leggenda"

Attrezzatura vintage, bastoni pitturati dai figli, apparecchio acustico e altro ancora. Un'immersione nella vita del portiere

Keystone
20 maggio 2019
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Con 5 titoli vinti ha superato mostri sacri come Renato Tosio, Reto Pavoni e Ari Sulander. È diventato il portiere più vincente nella storia moderna dell’hockey elvetico, ovvero dall’introduzione dei playoff a metà degli anni ’80. Ormai si può definire una leggenda. “No dai, non ancora. Leggenda si diventa quando si smette, io ho l’intenzione di continuare a giocare e se possibile vincere ancora per un po’”. Sono queste le prime parole di Leonardo Genoni. “Onestamente non sapevo nemmeno di avere stabilito un nuovo record, ma alla fine della fiera non conta già più. È ormai acqua passata, nello sport fa testo il presente, non il passato”.

Disponibile e sempre pacato, l’estremo difensore del Berna e della Nazionale emana tranquillità pure fuori dal ghiaccio. Anche quando subisce una rete non perde la calma. “Nel mio ruolo devi subito dimenticare l’errore, poi in un secondo tempo, a bocce ferme, puoi capire come mai sei stato infilato e quindi apprendere. A volte ci sono dei gol evidenti e facili da interpretare, come ad esempio quello incassato contro la Norvegia. Ho subito capito cosa ho sbagliato”. Leo non ha nemmeno difficoltà nell’addormentarsi dopo un match. “Discuto rapidamente con il mio allenatore e in seguito per me la sfida è terminata. Vado a casa, tocco il letto e mi addormento immediatamente. Non sono uno che rimugina o ripensa a determinate scene”.  

Lo zurighese, a differenza di altri colleghi, non ha mai lavorato con un mental coach. “Solamente a militare ho partecipato a una seduta, faceva parte dell'istruzione. Se qualcuno ne ha bisogno la trovo un’ottima cosa, ma non deve essere un obbligo. Io non ne ho mai avuto il bisogno, sono molto autocritico, so quando e cosa sbaglio e nessuna terza persona può conoscermi meglio di me stesso e sapere di cosa io necessiti". 

La prossima domanda spiazza un po’ Genoni, è una chicca non propriamente di dominio pubblico. “È vero”, risponde divertito il 31enne, “uso lo stesso modello di gambali da 8 anni e lo stesso modello di guantone da 15". Una scelta strana, oggi esistono nuovi equipaggiamenti più leggeri e moderni. “Sono modelli che si adattano perfettamente al mio stile di gioco che è molto particolare, è diverso da quello degli altri colleghi. Ho incontrato i responsabili della fabbrica che producono i materiali, mi hanno spiegato cosa si potrebbe modificare, ogni tanto ho effettuato dei test, ma dopo 1-2 settimane ho sempre riconsegnato la merce nuova. Nessun altro modello sposa il mio modo di parare in modo così efficace”.

Pure il suo bastone ha una particolarità, viene dipinto dai suoi 3 figli. “Non è da molto tempo, è una tradizione nata per caso. Non mi piace mettere il nastro sui bastoni per isolarli. Una sera mi sono reso conto di non averne quasi più a disposizione e dunque ne ho portati a casa 3 o 4 al fine di prepararli. I bambini si sono accorti che uno dei bastoni aveva una superficie di color bianco e mi hanno chiesto se potessero dipingerlo. Da quel momento è partita questa cosa”. E proprio il rapporto con i figli è qualcosa di speciale. Sovente gli sportivi di punta possono solo raccontare le gesta passate ai loro rampolli, I figli di Genoni invece hanno l'opportunità di assistere in diretta alle imprese hockeistiche del papà. “È particolare in effetti. Ad esempio ogni mattina quando esco non dico loro che devo andare a lavorare, bensì che vado a giocare. è un divertimento. È un privilegio, ne sono cosciente, ma dietro a ciò ci sta un duro lavoro al fine di poter continuare ad averlo. Ai miei bimbi dico quindi sempre di fare quello che diverte loro, non c’è cosa più brutta di dover fare un'attività controvoglia". 

Genoni non è particolarmente superstizioso. “Ci sono dei compagni molto estremi in merito, io no, eseguo unicamente gli stessi movimenti non appena raggiungo la porta prima dell’ingaggio d’inizio, ma è più per abitudine”.

A una domanda l'ex Berna risponde con una domanda. “Perché vuoi sapere se sono uno romantico?”. Il motivo è semplice, perché in seguito voglio chiedere a Leonardo come mai non ha mai giocato per la sua squadra del cuore, ovvero l’Ambrì. “I leventinesi hanno sempre avuto un buon portiere, quindi le nostre strade non si sono mai incrociate, non ci sono nemmeno mai state trattative. Da piccolo Jaks era il mio idolo, cercavo d’imparare da lui, anche se Pauli aveva il guantone da presa a destra e non a sinistra come il sottoscritto. Mi ricordo inoltre i grandi nomi: Peter Jaks, Kvartalnov, McCourt, Petrov, tutti elementi di classe cristallina. Mio padre, originario della Val di Blenio (Leo è nato in Ticino e vi ha trascorso i primi 3 anni di vita ndr), ci portava alla Valascia un paio di volte a stagione ”.

Anni or sono, in seguito a uno scontro di gioco, il futuro elemento dello Zugo accusò seri problemi di udito, fastidi permanenti. Da qualche anno il numero 63 porta dunque un apparecchio acustico. “Per lungo tempo non volevo accettare la cosa, non mi arrendevo all’evidenza, anche perché ero giovane. Adesso sono contentissimo di questa scelta, l'apparecchio è un grande aiuto. La mia qualità di vita è aumentata, ora ad esempio riesco nuovamente a sentire i cinguettii degli uccelli. Sono fatti difficile da capire o immaginare quando non si è colpiti dal problema”.

Di base i portieri vengono descritti come persone pazze e senza paure. “Ma non è vero, è molto più pericoloso essere giocatore di movimento. Noi siamo protetti bene in qualsiasi parte del corpo, abbiamo una visiera che ci copre l'intero viso e poi non riceviamo dei check". 

Genoni parla infine del suo futuro post-hockey. “Non so ancora cosa farò, ho ottenuto il bachelor in economia e adesso sto concludendo il master in economia, un giorno mi piacerebbe utilizzare queste nozioni in ambito lavorativo". 

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