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Argo 1, Unia: 'interessi politici dietro la macchina del fango'

(Samuel Golay)
19 ottobre 2017
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«Piaccia o non piaccia al ‘Corriere del Ticino’, senza Unia, o meglio senza i 22mila lavoratori che attraverso il nostro sindacato rivendicano i propri diritti, questa brutta storia legata ad Argo 1, con annessi e connessi, non sarebbe mai venuta alla luce. Ne sono certo». Oswaldo Formato, 59 anni appena compiuti, referente in seno a Unia del settore agenzie di sicurezza respinge con fermezza (e altrettanto fa il sindacato con una nota stampa) le pesanti insinuazioni del foglio di Muzzano. Insinuazioni sintetizzate nel titolo a un servizio sul caso Argo 1 pubblicato ieri a pagina 7: “La sicurezza e gli infiltrati targati Unia”.

Ci va giù duro il quotidiano luganese.

L’infiltrato viene pagato da qualcuno perché ‘sotto copertura’ raccolga, in un determinato contesto, delle informazioni e le fornisca a chi lo ha assoldato. Unia però non ha pagato e non paga nessuno. Non abbiamo infiltrati. Semmai è il sindacato e i suoi collaboratori che vengono pagati da persone perché si vedano tutelati i loro diritti di lavoratori e lavoratrici. Insomma in qualche redazione un ripasso dell’italiano sarebbe opportuno. Così come sarebbe opportuno ricordare come sono andate le cose.

Prego.

Unia si è occupata di Argo 1 fin dalla costituzione della ditta, avvenuta formalmente a fine 2014. E sin dall’inizio sapevamo che in questa agenzia privata di sicurezza, sorta praticamente dal nulla, c’erano delle cose che non funzionavano a livello salariale. Per esempio, tutti gli agenti erano stati assunti con un contratto C, che prevede un massimo di 900 ore all’anno. Ma con quello che dovevano fare in Argo 1, era impossibile lavorare solo 900 ore all’anno. Tant’è che di questa e di altre irregolarità avevamo informato, per due anni di seguito, la Commissione paritetica chiedendole di intervenire. E a un certo punto si è mossa, scrivendo e ponendo delle domande alla ditta, ma senza ricevere mai risposta. Sapevamo anche che tra i dipendenti dell’Argo 1 vi erano dei nostri associati. Degli infiltrati involontari? (ride). Battuta a parte, faccio presente che la riservatezza è una delle regole principali anche nel settore della sicurezza privata. A un certo punto però questi tre agenti affiliati a Unia mi hanno, singolarmente, interpellato non sopportando più il malandazzo nella ditta. Mi hanno così parlato di lavoro nero, di mancati rimborsi spese per trasferte, ma anche del giovane richiedente l’asilo ammanettato per delle ore al palo della doccia al centro d’accoglienza di Camorino sorvegliato da Argo 1. Ho allora segnalato il tutto al Ministero pubblico. Questo accadeva pochi giorni prima del blitz della polizia federale.

Come se le spiega allora le insinuazioni del CdT?

Con un meccanismo. Quello della macchina del fango. Un giorno si getta discredito su un nostro associato, che a viso scoperto e con nome e cognome ha raccontato alla trasmissione ‘Falò’ la sua esperienza lavorativa in Argo 1 denunciando quelle che secondo lui erano delle irregolarità. E il giorno dopo si getta discredito su un altro nostro affiliato, anch’egli ex agente di Argo 1: una persona onesta e capace che mi aveva chiesto di verificare la sua busta paga e il montante ore. Preciso che i due associati a Unia facevano parte del terzetto che mi aveva a suo tempo interpellato.

Secondo lei chi aziona realmente la macchina del fango?

L’ex amministratore e l’ex responsabile operativo della Argo 1 hanno avuto accesso agli atti dell’inchiesta penale, ma non credo siano così potenti da condizionare le scelte del CdT. Sono piuttosto dell’idea, anzi ne sono convinto, che dietro a questa macchina ci siano degli interessi politici convergenti.

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