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'Come un acrobata che lavora senza rete protettiva'

10 maggio 2016
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Il Dipartimento sanità e socialità (Dss) gli ha revocato l’autorizzazione ad esercitare a metà settembre, ma lui il 12 dicembre – come anticipato ieri da questo giornale – era in sala parto alla clinica Sant’Anna di Sorengo dove, sostenendo una sua paziente, ha effettuato (l’ha detto il suo legale, l’avv. Tuto Rossi) un atto medico, di pochi secondi. Un fatto segnalato dal dottor Piercarlo Rey e dalla clinica al medico cantonale. Sta di fatto che il dottor Rey è di nuovo sotto i riflettori e la Commissione di vigilanza sanitaria – un organo super partes che interviene anche su mandato del Dss –   deve ancora occuparsi di lui.

Lo ha già fatto la scorsa estate quando ha analizzato il terribile scambio di paziente in sala operatoria (avvenuto l’8 luglio 2014 alla clinica Sant’Anna di proprietà del gruppo Genolier), nel momento in cui una paziente di Rey – una signora di 67 anni –, a cui doveva incidere un tumore dietro il capezzolo, si è svegliata senza entrambi i seni. Un errore di identificazione della paziente, spacciato dal medico, che ha redatto un rapporto operatorio inveritiero, per un intervento di profilassi. Il medico ha mentito per mesi alla signora (a suo dire) a fin di bene, una tesi che però non ha convinto la Commissione di vigilanza sanitaria.

Vi spieghiamo il perché essendo venuti in possesso del rapporto – tecnicamente  Avviso –  redatto dalla Commissione basandosi su audizioni, referti medici, cartelle cliniche, verbali di interrogatorio, e inoltrato il 28 agosto al Dss. Avviso che ‘inchioda’ il medico alle sue responsabilità e apre uno scorcio sull’universo dei camici verdi – almeno una parte di loro – portando alla luce comportamenti ‘inammissibili’, menzogne, un rapporto operatorio inveritiero e disposizioni agli infermieri di tacere su quanto accaduto in sala operatoria.

Emerge  anche un’organizzazione ospedaliera, alla clinica Sant’Anna di Sorengo, giudicata dai commissari «ad alto rischio di confusione» per l’elevato ‘turnover’ di interventi chirurgici, eseguiti in rapida successione, anche in contemporanea, con team diversi, medici che passano da una sala all’altra, piani di lavoro che cambiano.

Oltre a tutto ciò, all’epoca dei fatti, la clinica non disponeva di direttive vincolanti sulle modalità di controllo e di verifica dell’identità dei pazienti che andavano sotto i ferri (tipo ‘time out’), raccomandate dalle linee guida dell’Oms dal 2009.  Solo da fine 2014, dopo il grave errore, sono state rafforzate.  Il lavoro del chirurgo in clinica viene descritto dai commissari come quello di «un acrobata che lavora senza rete protettiva». 

Sul medico in questione – che è stato sentito il 22 luglio 2015 –, la Commissione ha concluso che l’errore è «imputabile in maniera almeno preponderante al dottor Rey, in quanto è venuto meno ad ogni suo dovere di identificazione della paziente prima di iniziare l’intervento».

E sul suo comportamento dopo l’errore, quando ha iniziato a mentire, la Commissione scrive: «Violando in modo grave i suoi doveri di informare la paziente e per sottrarsi alle sue responsabilità (altre spiegazioni plausibili non ve ne sono) ha redatto un rapporto operatorio inveritiero, (...) trasmettendo pure questa falsa informazione all’Istituto di patologia (...) fino ad allestire una lettera di uscita, dopo che la paziente aveva manifestato di voler interrompere ogni rapporto, dal contenuto ancora una volta non corrispondente alla realtà. Solo quando ha compreso che non aveva altra scelta, senza minimamente accertarsi delle eventualmente mutate condizioni psicofisiche della paziente, (ciò che esclude la tesi del privilegio terapeutico) ha finalmente deciso di dire la verità, in presenza dell’avvocato della clinica».

Parole dure quelle dell’Avviso della Commissione di vigilanza sanitaria, firmato dal giudice Mauro Ermani, che giustifica così la revoca a tempo indeterminato dell’autorizzazione del libero esercizio e dell’esercizio dipendente di medico. «Un medico che commette un errore grave, con conseguenze evidenti sulla salute della paziente, e che, per sottrarsi alle proprie responsabilità, non solo mente, non solo viene meno ai suoi obblighi deontologici, ma allestisce pure documentazione inveritiera, anche se si tratta di un solo caso, ha un passato irreprensibile e un curriculum di stimato professionista, non è degno di fiducia ai sensi dell’articolo 36 LPMed».

Scopriamo (leggendo l’Avviso) che il dottor Rey aveva dato disposizioni di non dire nulla a chi era in sala operatoria e alla direzione medica della clinica: erano al corrente della verità e delle bugie che avrebbe detto (a fin di bene!) alla paziente. Perché? Si sarebbe assunto lui (leggiamo) l’onere di comunicare la verità alla paziente. Ma il momento giusto stentava ad arrivare... Di fatto, si legge nel rapporto a pag. 33 «invitare gli operatori sanitari a non dire nulla a nessuno, significa incitarli a venir meno ai loro doveri».

Concludiamo con una nota dolente, che troviamo a pagina 10. La clinica ha emesso (il 14 luglio 2014) la fattura alla cassa malati della vittima. Oltre al danno la beffa. La direzione della Sant’Anna non ha mai segnalato alle autorità l’errore, ma la fattura, 6 giorni dopo l’intervento sbagliato, era già partita. E il dottor Rey «nulla ha intrapreso per bloccare la fatturazione» scrive la Commissione.

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