laR+ Il ricordo

Hans Küng, la dedizione alla verità

Più di libertà e indipendenza, care a ogni svizzero, è ciò che ha fatto di lui non solo l’eminente teologo, ma anche uno degli intellettuali più ascoltati.

Vito Mancuso (sx) e Hans Küng (Keystone)
10 aprile 2021
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La Chiesa si accorse presto delle doti straordinarie di Hans Küng: dopo gli studi a Roma e a Parigi lo nominò a soli 32 anni professore ordinario presso la Facoltà di teologia cattolica di Tubinga, il centro più importante della teologia tedesca. Era il 1960 e due anni dopo si apriva il Vaticano II dove Küng venne chiamato come consulente teologico, il più giovane partecipante all’assise conciliare. Che cosa portò allora questo teologo e sacerdote che aveva davanti a sé possibilità di carriera non minori di quelle di Joseph Ratzinger (di un anno maggiore, ma chiamato a Tubinga per la docenza proprio da Küng), a criticare sempre più spesso la Chiesa tanto da indurre nel 1979 Giovanni Paolo II a revocargli la qualifica di teologo cattolico? La risposta suona paradossale: la volontà di essere veramente cattolico. L’aggettivo greco katholikós significa infatti “universale” e a questo Küng mirò da sempre: a unire il più possibile gli esseri umani. Egli non volle essere cattolico-romano, ma più genuinamente cattolico-universale, cioè uomo tra gli uomini, a servizio del bene del mondo.

Operante in paesi a forte presenza protestante come la nativa Svizzera e la Germania, Küng volle anzitutto contribuire all’unità tra cattolici e protestanti e in questa prospettiva elaborò la tesi di dottorato sulla dottrina della giustificazione in Karl Barth, dando poi vita a una speciale disciplina teologica, la teologia ecumenica.

La volontà di dialogo lo spinse ad affrontare con rigore il pensiero laico in quanto negazione di Dio: è del 1978 uno dei suoi libri più belli, “Dio esiste? Risposta al problema di Dio nell’età moderna”, dove in mille pagine discute le obiezioni dei diversi ateismi. Affrontò il nodo fede-scienza con “L’inizio di tutte le cose” del 2005. Fu sempre il richiamo dell’universalità a condurlo allo studio delle grandi religioni: pubblicò “Cristianesimo e religioni universali”, “Cristianesimo e religiosità cinese”, “Ebraismo”, “Islam”, saggi ponderosi e leggibilissimi tradotti in tutto il mondo. Al 1990 risale il “Progetto per un’etica mondiale”, da cui pochi anni dopo sorse la Stiftung Weltethos, “Fondazione per l’etica mondiale”. Küng si occupò anche di etica ed economia dando un contributo alla prefigurazione di quella terza via tra liberismo e comunismo che cerca di coniugare redditività e giustizia.

Ma cosa vide di problematico in tutto questo immenso lavoro il Magistero cattolico? La risposta è semplice: la libertà. La libertà con cui Küng procedeva era sentita come una pericolosa minaccia alla stabilità dell’istituzione. La questione si fece rovente nel 1970 con la pubblicazione di “Infallibile?” con cui Küng sfidava il dogma dell’infallibilità pontificia. Si aggiunsero altri motivi di dissenso: la funzione della gerarchia, i criteri delle nomine episcopali, il ruolo della donna, la sessualità, l’eutanasia, il celibato sacerdotale, la libertà della ricerca teologica. E fu così che Giovanni Paolo II lo mise fuori squadra.

Küng non cessò mai di sentirsi pienamente cattolico ma non fece mai coincidere la sua fede con l’appartenenza ecclesiale, e nel 2011 giunse radicalmente a chiedersi: “Ist die Kirche noch zu retten?, “La Chiesa può ancora essere salvata?”, purtroppo tradotto in italiano con il blando esortativo “Salviamo la Chiesa”.

Grazie all’intelligenza, al lavoro e alla preparazione linguistica che lo faceva parlare con disinvoltura varie lingue tra cui un italiano pressoché perfetto, Küng è stato il più influente teologo cattolico del nostro tempo. La sua opera si può descrivere come dotata di queste caratteristiche: 1) grande capacità teoretica: oltre che teologo, egli è stato anche filosofo, come già Agostino, Tommaso d’Aquino, Cusano, von Balthasar, Panikkar; il saggio più alto della sua maestria filosofica è il monumentale studio sul pensiero teologico di Hegel; 2) grande capacità sistematica: nelle sue opere principali rivive il genere delle Summae medievali con quella organizzazione della materia in modo didatticamente chiaro e gerarchicamente configurato, particolarmente preziosa oggi quando abbondano le analisi ma scarseggiano le visioni d’insieme; 3) grande capacità espositiva: Küng è stato un saggista di successo a livello mondiale, il suo stile, mai ermetico ma sempre attento al lettore, corrispondeva perfettamente alla sua innata gentilezza e amabilità; 4) grande onestà intellettuale: Barth un giorno gli scrisse “mi piace considerarla in tutto il suo modo di agire un israelita in quo dolus non est”, chiaro riferimento alle parole di Gesù che definiva Natanaele “un israelita in cui non c’è falsità”.

Questo è ciò che ha fatto di Küng non solo l’eminente teologo di cui si è detto, ma anche uno degli intellettuali più ascoltati a livello mondiale, con 16 lauree onorifiche e riconoscimenti in tutti i continenti.

Quanto a me, è stato l’incontro con un suo libro che mi spinse a studiare teologia. Ricordo ancora l’entusiasmo con cui (persino a scuola nelle ore che non mi interessavano) procedevo nella lettura di “Dio esiste?”. Leggevo, e come un adolescente sempre necessariamente alla ricerca di sé, sentivo che stavo trovando la mia strada e che avrei voluto anch’io dedicare la mia vita a quelle ricerche. Küng ha rappresentato per me la bellezza della teologia, l’onestà intellettuale, la lotta per la libertà. Ma persino di più della libertà e dell’indipendenza a lui tanto cara come a ogni svizzero, Küng ha rappresentato per me la dedizione alla verità. Solo così, infatti, si può essere teologi: amando la verità più della stessa libertà. Nutrendo la convinzione e il sentimento che la libertà si vuole dedicare alla verità. Ma attenzione: qui non si tratta della verità come dogma, ma della verità come energia che unisce e che spinge all’abbraccio, cioè come amore.

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