Estero

Dov'è Zuck? Lo scandalo s'allarga e lui tace

Per il caso Cambridge Analytica il guru di Facebook convocato da Unione Europea e da Londra. Gli Usa aprono un'indagine

Tutti lo cercano
(Keystone)
20 marzo 2018
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"Where is Zuck?", dov’è Zuck?. È la domanda che tutti si fanno in queste ore. Ore in cui Facebook continua ad affondare in Borsa e il suo guru si ostina a tacere su quello che oramai ha assunto i contorni di un vero e proprio scandalo globale. Perché il sospetto è che, al di là del caso di Cambridge Analytica, i dati di centinaia di milioni di utenti siano stati dati in pasto a molte altre aziende senza scrupoli. Almeno fino al 2015, quando sono state cambiate le regole di policy.

Quello di Mark Zuckerberg, a oltre 48 ore dallo scoppio della bufera, è dunque un silenzio assordante. Ma sembra difficile possa durare ancora a lungo: da Londra gli è stato recapitato un mandato a comparire davanti a una commissione parlamentare del Parlamento britannico, mentre a Washington si è mossa la Federal Trade Commission, che ha aperto un’indagine sul caso della Cambridge Analytica anche alla luce dei suoi rapporti con la campagna del presidente statunitense Donald Trump. Pure Bruxelles incalza, con il presidente del Parlamento europeo, Antonio Tajani, che ha a sua volta invitato Zuckerberg a riferire agli eurodeputati. Mentre in Italia l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) ha inviato a Facebook una specifica richiesta di informazioni circa "l’impiego di dati per finalità di comunicazione politica da parte di soggetti terzi".

Solo una scarna dichiarazione

Finora il gruppo californiano si è limitato ad affidare la sua prima reazione ad una scarna dichiarazione: poche parole per definire "inaccettabile" l’eventualità che i dati di 50 milioni di utenti raccolti dalla Global Service Research (Gsr) e venduti alla Cambridge Analytica non siano stati ancora distrutti. Ed è difficile che Zuckerberg, così come il direttore generale di Menlo Park, Sheryl Sandberg, si decidano a spiegare cos’è successo prima di conoscere i risultati dell’indagine che hanno affidato ad un’azienda di esperti informatici. Una seconda breve nota è giunta oggi in serata, dopo il crollo in Borsa: "L’intera società è indignata, siamo stati ingannati", si afferma, assicurando come sia Zuckerberg sia Sandberg stanno lavorando per appurare i fatti e prendere le misure più adeguate. "Siamo impegnati a rafforzare le nostre policy per proteggere le informazioni personali e prenderemo qualunque iniziativa perché questo accada".

È probabile che il fondatore di Facebook rompa il silenzio venerdì, in occasione di un’assemblea di tutti i dipendenti convocata più che altro per tranquillizzare l’ambiente. Tutti gli occhi insomma sono puntati su Zuck, che dopo gli anni dell’irresistibile ascesa si trova per la prima volta ad affrontare una crisi dalle conseguenze imprevedibili. Intanto nelle ultime due sedute di Wall Street ha dovuto assistere a un tracollo del suo titolo, con almeno 35 miliardi di dollari di capitalizzazione di mercato andati in fumo solo nella giornata di lunedì. E un altro 5% lasciato sul terreno nell’ultima seduta, trascinando con sé anche Twitter, che è arrivato a perdere quasi il 10%. Per Zuckerberg sono almeno 5 miliardi di dollari della sua ricchezza personale svaniti nel nulla.

'Non c'era nessun controllo'

Ma i danni peggiori a questo punto rischiano di essere quelli d’immagine. Perché se Zuckerberg e Sandberg da oltre 48 ore tacciono, a parlare sono altri manager ed ex manager che stanno mettendo in imbarazzo i vertici del gruppo. Alex Stamos, capo della sicurezza, nonostante la smentita starebbe per dimettersi a causa di "disaccordi interni", dopo mesi di polemiche proprio sul fronte di una gestione accusata di essere troppo lassista sul fronte dei dati personali. "Zero, non c’era assolutamente nessun controllo sui programmatori esterni", racconta Sandy Parakilas, che dal 2011 al 2012 è stato il massimo responsabile per le indagini sulle violazioni dei dati: "Una volta che le informazioni lasciavano i nostri server non c’era alcun tipo di controllo e nessun tipo di conoscenza su che fine queste facessero". Di questo e altro vorranno sapere a Londra, Washington e Bruxelles. Eppure nel 2015 Zuckerberg, preso atto che qualcosa non andava, aveva fatto retromarcia sulla strategia delle "porte aperte" a tutti gli sviluppatori esterni. Una strada che ha dimostrato di essere piena di insidie, tanto che Zuck – ribattezzato ’Mister Fix’ – promise di mettere a posto tutte le criticità. Probabilmente troppo tardi. Dall’altra parte dell’Oceano, intanto, il consiglio di amministrazione di Cambridge Analytica ha sospeso l’amministratore delegato Alexander Nix "con effetto immediato, in attesa di un’indagine indipendente e completa".

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