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Genesi di Manlio Monti, artigiano dell'arte

Quasi 300 grafiche per oltre 60 nomi: da sabato 10 aprile al 3 giugno 2021 in mostra l'artista, il docente, il divulgatore, il promotore

Manlio Monti, Senza titolo (2013 - Serigrafia 29,5 x 50 cm - Edizioni Il Salice - Foto © Carlo Pedroli)
10 aprile 2021
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«Sì, ho esposto altrove. A Cagliari, per esempio. Da qualche parte qui dentro dovrebbe esserci la locandina. Ma un insieme di opere di questo tipo, no. E comunque non nel Canton Ticino. È una bella occasione. Fino a pochi giorni fa tutto questo era negli armadi, nelle cassettiere, nelle scansie. Fa un certo effetto anche a me. Quasi quasi non ci credi...». Manlio Monti si guarda intorno, a margine di un incontro durante il quale si è appena parlato di lui, e stampata negli occhi (il riferimento al tornio è puramente casuale) è visibile una certa, palese felicità. «Attenzione, però», ci dice: «Noi vediamo un foglio, ma per ognuno ce ne sono cinquanta, e cinquanta, e altri cinquanta ancora. Sono tanti...».

‘Manlio Monti. Attività grafica e sua genesi’ è la mostra allestita allo Spazio Officina di Chiasso. Si apre sabato 10 aprile e si chiuderà giovedì 3 giugno 2021. L’inaugurazione, per ovvi motivi, si tiene oggi in streaming dalle 17.30 su www.centroculturalechiasso.ch. La mostra è un tributo all’artista, al docente, al divulgatore, al promotore, attitudini che hanno nelle Edizioni Il Salice – fondate da Monti nel 1987, col nome mutuato dall’ubicazione dei suoi atelier ai Saleggi di Locarno – un punto di riferimento della grafica d’arte, anche oltre i confini nazionali. Non meno delle Cartelle nere – abbinamento tra sei incisioni e altrettanti testi letterari o poetici (più recenti sono quelle blu e grigie) – e delle stampe Club 365, progetto cardine nella conoscenza e diffusione dell’incisione calcografica, presenti a Chiasso nella totalità della produzione.

Esposte nelle stanze di Spazio Officina sono quasi trecento grafiche di oltre 60 artisti, Monti compreso, comprensive di più tecniche (acquaforte, acquatinta, bulino, puntasecca, ceramolle, stampa a secco, serigrafia). Ci sono libri d’artista e pure un torchio proveniente dagli atelier di Monti, e che a Chiasso, in quanto donazione dello stesso, resterà per sempre.


Mario Botta, Mogno (1989 - acquaforte, 29,5 × 39,5 cm - Edizioni Raredisc, Bon à tirer - Foto © Carlo Pedroli)

‘Ragnatela tra emergenti e affermati’

Nicoletta Ossanna Cavadini, direttrice del m.a.x. museo e dello Spazio Officina, curatrice dell’esposizione insieme allo stesso Monti, annuncia con orgoglio quella che a tutti gli effetti è la prima mostra dedicata all’artista all’interno di una struttura pubblica del Cantone, riportando in vita una delle definizioni mai obsolete legate al riconoscimento dell’opera altrui – nemo propheta in patria – e colmando, pertanto, un vuoto storico: «Capita che si sia più conosciuti all’estero, in Italia e in Europa, per esempio, dove Monti ha esposto. Ma è finalmente giunto il momento di rendere omaggio all’opera incessante di questo artigiano dell'arte». È quanto pensa anche Dalmazio Ambrosoni, storico e critico d’arte il cui saggio sull’opera di Monti, nel catalogo edito da Edizioni Centro Culturale Chiasso, va ad aggiungersi a quello di Cavadini: «Ho sempre pensato che la sua figura necessitasse di storicizzazione. Lo andai a trovare per la prima volta negli anni Novanta, in tempi molto intensi. Notai subito la grande attività, articolata e profonda, riconoscendo in lui il vero continuatore della stagione straordinaria che riguardò Locarno, Ascona, Muralto, dal 1955 in avanti. Fu proprio Monti, insediatosi con perfetta coscienza, consapevolezza e precisione cronologica in quel momento storico, a rilanciarla». Ancora Cavadini: «Ospitiamo cinquant’anni di attività grafica attiva, condotta con modestia, tanto nell’atelier quanto nell’attività didattica, in quella scuola cui Monti ha dato moltissimo, sapendo tessere una ragnatela tra giovani generazioni e artisti affermati, all’insegna della ricerca costante nel campo della grafica. Monti è un’origine di tutte le cose, con capacità di analisi, introspezione».

L’origine di tutte le cose, non a caso, è il tema 2021 del Centro Culturale Chiasso. Dal ‘Confine’ – filo conduttore dell’anno 2020, celebrazione del libero passaggio anche intellettuale, tornato limite insormontabile per motivi pandemici – si è passati alla ‘Genesi’, oggi «simbolo di rinascita» e, da Cavadini, auspicata «nuova modalità di vita legata al piacere dell’incontro e del fruire». Lo Spazio Officina, pertanto, espone la genesi di Manlio Monti, classe 1948, studi a Lugano, completamento della formazione a Losanna, luogo dell'incontro con Albert Edgar Yersin, suo insegnante di bulino. In mezzo, il lavoro nello studio dello scultore Max Uehlinger, la frequentazione dell’atelier di Remo Rossi, crocevia di artisti all’interno del quale il giovane locarnese lavora per Jean Arp, Hans Richter, Albert Skira, Nesto Giacometti, François Lafranca.


Dimitri, Clowns (1992 - acquaforte, 29,5 × 39,5 cm - Edizioni Raredisc - Foto © Carlo Pedroli)

La genesi ha un suo momento decisivo nel 1976, con l’affitto da parte di Monti degli atelier locarnesi ormai dismessi di Remo Rossi, rinnovato luogo d’arte e d’insegnamento in cui torna a vivere il fermento riassunto da Ambrosoni (luogo che, pandemia permettendo, sarà oggetto di visite guidate organizzate dallo Spazio Officina). E mentre l’arte fermenta, Monti non abbandona l’insegnamento, che lo porta a Pully, alle scuole di Blenio, al collegio Santa Maria di Pollegio, al Ginnasio cantonale di Locarno, al Centro scolastico per le industrie (Csia), fino alla Supsi, sezione Comunicazione visiva.

La potenza di 1 franco

L’idea scaturisce nel 1988: i soci sottoscrittori del Club 365 finanziano con 1 franco al giorno una cartella grafica composta da tre esemplari, i cui autori sono altrettanti emergenti o affermati artisti portati all’attenzione da Monti, dai membri del Club o da entrambi; le tre stampe da 30x40 cm, numerate, a tiratura limitata, con biografia e indicazioni dell’artista, rappresentano un’occasione (o una conferma) per i relativi autori, e portano a compimento, allo stesso tempo, l’intento divulgativo di Monti, e cioè fornire una panoramica fedele del mondo della grafica d’artista. «Promulgare, creare un network, un sistema di relazioni, trovare iniziative di promozione, sono qualità proprie di Monti», spiega Cavadini: «La grafica è la Cenerentola di un mondo dell’arte che riserva i propri focus prevalentemente alla pittura, alla scultura e all'architettura, senza sapere che i migliori rappresentanti di queste tre categorie si sono cimentati con la grafica come momento d’introspezione, di ricerca. A Manlio Monti si deve questa visione di spesa quotidiana di 1 franco dal quale è nato il piacere d’iniziare una collezione grafica, di accendere una passione, di realizzare un momento d’incontro con l’artista».

Lo Spazio Officina ospita per intero quanto si deve al Club 365, ovvero tutte e 70 le incisioni di artisti di sei nazionalità – Svizzera, Italia, Francia, Spagna, Albania e Slovacchia – presenti a Chiasso grazie a una donazione decisiva per il definitivo completamento della genesi e, ancor prima, perché questa mostra esista. La donazione arriva da Simone Cornaro, filantropa del mondo dell’arte e socia dell’associazione amici del m.a.x. museo: «Sono felice – racconta – di aver suggerito la necessità di una mostra su Monti, essendo importante, a mio parere, che la popolazione di Chiasso e l’Insubria in generale vengano a conoscenza di questo straordinario lavoro incentrato sulla grafica, sull’incisione in tutte le sue forme, qui raccolte a testimonianza». Cornaro ricorda il primo incontro con Monti a Locarno, in quell’atelier presto popolatosi di artisti, da lei conosciuti in prima persona; tiene anche a sottolineare come donare le opere del Club 365 sia il suo «personale omaggio a quest’idea finalizzata ai giovani, all’opportunità di metterli in contatto con l’arte in modo accessibile. E poi, per me che ho appena cessato l’attività lavorativa – conclude – è un modo di prendere congedo dalla città».


Giuseppe De Giacomi, Senza titolo (2005 - acquatinta 22,7 x 29,5 cm - Edizioni Il Salice - Collezione d’arte m.a.x. museo, Chiasso - Foto © Carlo Pedroli)

‘Un gioco da portare avanti con rigore’

«Vedo tutte queste opere e mi dico che sono una garanzia: quella di essere invecchiato». Più che parlare di sé – «...dopo tutti questi elogi...» – Manlio Monti ringrazia chi ha voluto trasferire il suo atelier, e gran parte della sua vita, allo Spazio Officina: «Quanto esposto – dice chiudendo l'incontro – è poco più della metà. È il lavoro di un terzo di secolo, di un’avventura cominciata nel 1987, quando disegnai un torchio elettrico da 800 kg che ha stampato migliaia d’incisioni. Nel momento d’inaugurarlo ci dicemmo: “E se facessimo una cartelletta?”».

La storia di Monti è anche quella di un’amicizia scaturita dal rapporto professionale. Quella con Michel Seuphor, pittore e poeta belga naturalizzato francese, chinatosi come storico e critico in particolare sull’arte del Novecento e sull’astrattismo. Una parte del fitto carteggio tra Monti e Seuphor (vero nome Ferdinand Louis Berckelaers, Seuphor è anagramma di ‘Orpheus’) è esposta all’ingresso della mostra: «Capita nella vita di trovare per terra la collana d’oro, o di fare il sei al lotto. Io l’ho fatto con lui», racconta Monti, avanti e indietro da Parigi negli ultimi dieci anni di vita di Seuphor, classe 1901, scomparso nel 1999. «Era persona di una cultura spaventosa, che ha conosciuto tutti i più grandi del XX secolo. Non tanto un artista di grande importanza, ma un catalizzatore. “Io non sono uno storico dell’arte”, mi diceva: “Quando le cose capitavano, io ero lì”. Il mio ritorno da Parigi era come fossi andato a leggere un’enciclopedia».

Gli aneddoti sul rapporto con Seuphor, che 95enne si mise a studiare il sanscrito, meriterebbero sezione della mostra a parte: «Un giorno gli chiesi dei futuristi: lui aprì un cassetto e ne uscirono lettere di Severini, Boccioni...». Ma il sei al lotto, più in generale, è stato per Monti «l’aver fatto un lavoro che mi ha dato l’opportunità di conoscere persone intelligenti e in gamba, dalle quali ho ricevuto tanto». Il suo intervento si chiude così: «Tutto quel che ho fatto, che abbiamo fatto, è lavoro, ma mi sono divertito. Perché questo è un gioco». E cita per l’ultima volta un Seuphor degli anni 70: «L’intervistatore gli chiese conferma del fatto che avesse definito l’arte un gioco, e la sua risposta fu: “L’arte è un gioco da portare avanti con rigore”. E aveva perfettamente ragione: avete mai provato a disturbare i ragazzini mentre giocano?...».


Flavio Paolucci, Senza titolo (1998, acquatinta su Carta Velin de Rives, 25 x 19,8 cm - Edizioni Il Salice - Collezione d’arte m.a.x. museo, Chiasso - Foto © Carlo Pedroli)

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