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Lewis Hamilton, campione non basta: un grande tra i grandi

Sette titoli mondiali e una carriera di un piccolo prodigio cresciuto fino a ergersi una spanna sopra gli altri. Il cui futuro, però, è ancora tutto da scrivere

"Il momento più bello non è quando hai vinto e tutti ti abbracciano: è la mattina della gara, quando ti svegli e te la fai sotto. Quella sensazione di aver fatto tutto il possibile e di essere pronto, è una sensazione che chi gioca sporco non potrà mai provare"

Sette titoli mondiali e una carriera di un piccolo prodigio cresciuto fino a ergersi una spanna sopra gli altri. Il cui futuro, però, è ancora tutto da scrivere

21 novembre 2020
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Il settimo titolo mondiale ha definitivamente proiettato Lewis Hamilton nell’Olimpo della Formula 1, ora a pari allori con Michael Schumacher. La premessa è d’obbligo: è evidente che il sistema di punteggi, il numero di gare e un cambio di tecnica motoristica così impattante come l’ibrido abbia agevolato il raggiungimento di tale record. Ciò non toglie però che stiamo assistendo alla carriera di un grande pilota, che specie negli ultimi Mondiali conquistati, sbaglia pochissimo. Ed è giustissimo, pertanto, celebrarlo come merita.

Hamilton nasce il 7 gennaio 1985, quindi oggi ha 35 anni che è un’età matura per un pilota. Suo nonno paterno giunse in Gran Bretagna da Grenada quand’era il 1954, e il figlio Anthony con mamma Carmen daranno poi i natali al campione, a Stevenage nella contea dell’Herfordshire. Suo padre farà grandissimi sacrifici per metterlo su una vettura, accortosi del talento del figlio quando gli regalarono un’automobile radiocomandata che il bambino manovrava con incredibile sagacia. È il primo passo sulla strada che lo avvicinerà ai Kart, dove ebbe inizio la scalata di questo pilota che entrerà negli annali dello sport automobilistico.

La profezia di un bambino: ‘Un giorno correrò per te’

Quel ragazzino appena dodicenne si permise di dire a Ron Dennis, proprietario e manager della McLaren, che un giorno avrebbe corso per lui e per la sua squadra. Visti i risultati, e l’indomito fiuto di Ron Dennis, Hamilton venne messo sotto contratto e fece il suo esordio subito vincente nel team di Woking nella stagione 2007, vincendo il suo primo Mondiale nel 2008. Quella di Dennis fu un’intuizione importante nella carriera di Hamilton, e diede al padre respiro sul piano finanziario, contribuendo alla costruzione del percorso di pilota del figlio realizzato con l’obiettivo di portarlo, un giorno, in Formula 1.

Narrare il fenomeno Hamilton volendo andare oltre i semplici numeri del palmarès significa parlare di un pilota di F1 che ha compreso come costruire il mito di se stesso, senza fermarsi soltanto ai risultati della pista. A cominciare dalla molteplicità dei suoi interessi, da lui personalmente curati se non addirittura inventati, e non invece solo perché proposti da qualche consulente d’immagine o marketing. La sua linea di abbigliamento in collaborazione con Tommy Hilfiger, ad esempio, che dà grande importanza alla sostenibilità della filiera e al riutilizzo del materiale usato, pensando soltanto al cappellino indossato in Spagna, realizzato completamente con materiale riciclato. Si è pure appassionato alla musica hip-hop e rap facendo parte di alcune produzioni, tra cui quella con Cristina Aguilera, ha avuto anche storie d’amore appariscenti come con Nicole Scherzinger delle Pussycat Dolls, e un flirt con Rihanna.

Quegli striscioni razzisti: era la Spagna del 2008

Soprattutto, però, Hamilton ha preso una posizione molto forte sul tema razziale, divenendo icona della rivendicazione sui pari diritti della comunità afroamericana. In una lunga chiacchierata a microfoni spenti, Lewis rivelò quanto l’ambiente della F1 fosse razzista agli inizi della sua carriera. E la fede politica dei Mosley e degli Ecclestone dei tempi confermano senza ragione di dubbio la verità della sua affermazione.

Ma è nel 2008 che, in quanto compagno di scuderia di Fernando Alonso, in occasione del Gp di Spagna Hamilton fu oggetto di striscioni razzisti inqualificabili, e fu quello il momento in cui Jean Todt decise di aprire una vera e propria campagna denominata “Racing Against Racism”. Fu pure l’inizio del percorso anche personale di Hamilton, su una questione tornata di grande attualità negli Stati Uniti durante la presidenza Trump.

L’impegno sociale di Hamilton, del resto, si è sempre rivelato attraverso il rispetto e l’affetto che ha sempre dimostrato verso suo fratello Nicolas, portatore di un handicap motorio e che lui ha sempre voluto vicino a sé, fino al momento del peggioramento delle sue condizioni.

Dal litigio alla pacificazione: un difficile rapporto genitore-figlio

Il 2010 fu la stagione del duro litigio con suo padre Anthony, accusato di avere gestito in modo allegro le sue finanze. Tuttavia, Lewis decide comunque di non rompere i rapporti. Spesso nell’intimità ha espresso profonda amarezza per la situazione, ma ha anche voluto dare una chance a un uomo cui doveva tutto, e che a poco a poco è poi rientrato nel Circus come manager anche di altri piloti. Lewis ha sempre riconosciuto al padre il fatto di avere lavorato giorno e notte per permettergli d’intraprendere la carriera motoristica, definendo però sempre un Grand Canyon gli alti e bassi nel rapporto tra genitore e figlio, situazione che però proprio di recente è riuscito a risolvere.

Lewis ama molto curare il suo look, facendosi le treccine oppure diventando biondo in occasione di certi Gran Premi, oppure presentandosi ornato da orecchini e piercing. Oggi tutto ciò appare davvero scontato, ma in realtà si tratta di un elemento per capire quanto al suo ‘marchio’ Lewis Hamilton abbia lavorato sodo e in modo continuativo nel tempo.

Poi tre anni fa ecco la decisione di diventare vegano convinto, altro tema che lo rende un’icona pop per molti. E pure il suo cane Roscoe deve seguire il suo esempio, dopo essere stato afflitto da problemi digestivi che il sette volte campione mondiale reputa di avere risolto, appunto, imponendo pure a lui quello stile di vita e nutrizione.

E nella sua relazione con i media, beninteso quando lo si riesce ad avvicinare, Hamilton dimostra di essere ragazzo veloce e furbo, e sempre apparentemente accogliente, cosa che tutto sommato alimenta una buona stampa.

Ma come pilota gli va riconosciuta una caratteristica molto rara, e che davvero lo rende una spanna sopra tutta la concorrenza: la assoluta completezza dal giro veloce, alla guida sul bagnato, al ‘settaggio’ della monoposto, al feedback agli ingegneri, al carisma. Un pilota a tutto tondo che quotidianamente schianta nei fatti il pur bravo collega di team Valtteri Bottas, che con i suoi risultati altalenanti conferma al mondo intero di sicuro che la Mercedes-Benz sia la monoposto più forte mai costruita dal 1950 a oggi, ma anche che rispetto a Lewis lui sia di un livello inferiore.

‘Determinato, sfrontato e perennemente insoddisfatto di sé’

Frédéric Vasseur, team principal della Sauber che lo ha avuto come pilota ai tempi di Art Grand Prix, proprio vicino a due altri straordinari personaggi come Rosberg e Kubica che per quella squadra corsero e vinsero. «Lewis è un pilota veloce, determinato, di talento, sfrontato e perennemente insoddisfatto di se stesso: orientato solo a vincere, a qualsiasi prezzo anche di fatica e rinuncia personale. Si vedeva subito ciò che sarebbe diventato nella storia del motorismo», dice il sergente di ferro di Hinwil.

Mentre Nico Rosberg, il campione del mondo 2016 che l’ha battuto su Mercedes-Benz, ritirandosi però nei giorni immediatamente successivi al titolo conquistato ad Abu Dhabi, di Hamilton dice che «è una macchina da guerra. Ha una capacità straordinaria nel portare la squadra dalla sua parte, a qualsiasi costo, lavora sulla psiche del suo compagno di squadra, ma è anche terribilmente bravo. Non si discute». E il pilota inglese è stato alla base sia del successo, sia del ritiro di Rosberg: da un lato il tedesco riuscì a battere Hamilton sul piano della concentrazione, della dedizione, dell’allenamento e di molte rinunce sul piano della vita familiare. Ma una volta battuto Hamilton, Rosberg si è sentito come svuotato per l’obiettivo raggiunto, con in più la certezza che nella stagione 2017 il britannico nei suoi confronti sarebbe stato semplicemente famelico.

A parte normali discussioni di gara, tra Hamilton e Vettel c’è invece notevole intesa pur nelle radicali differenze di valori e caratteri. Proprio domenica, al momento della vittoria che è valsa a Lewis il settimo titolo, il tedesco si è avvicinato e pronunciando a caldo la frase «è un onore correre durante la tua epoca» ha dimostrato cosa sia la cavalleria dello sport.

Poi c’è Niki Lauda, l’uomo che nel 2012 lo convinse ad abbandonare l’amatissima McLaren per firmare con Mercedes-Benz. L’austriaco vide lungo, e Hamilton questo gliel’ha sempre riconosciuto: «Niki era spiritoso, arguto e intelligente. Era fatto per le corse, che erano tutta la sua vita insieme agli aerei. Quando mi chiamò, caddi dalla sedia: mica ti capita tutti i giorni di essere apprezzato da un mito dello sport mondiale!»

Il domandone: il più bravo chi è?

Rimarrà una lunga discussione, quella se sia più grande lui oppure Michael Schumacher. Domanda capziosa, perché – appunto – i risultati ottenuti dai due non sono comparabili per punteggi, regolamenti, numero di gare e situazioni tecnologiche. Tuttavia si può affermare che le vittorie di Schumacher siano avvenute in uno scenario competitivo più complesso, mentre nella grandezza di Hamilton va considerata la sua straordinaria capacità di sbagliare poco. Poi è ovvio che nell’era dell’ibrido avere alle spalle un colosso come Mercedes-Benz sia molto, e il distacco prestazionale-tecnologico-monetario oggi è incolmabile e lo sarà sino al Mondiale 2022, almeno.

Cosa farà invece Lewis Hamilton, che oggi come oggi non ha ancora un contratto per il 2021 con un team a cui ha dato (e ricevuto) molto? Non si sa davvero, dopo che alle sue richieste economiche Stoccarda ha già risposto no, con Toto Wolff che intanto ha già deciso di allontanarsi progressivamente dal team (per accasarsi alla Aston Martin, di cui è azionista) e con il trentacinquenne pilota di Stevenage che tutto sommato nel frattempo ha già polverizzato qualsiasi tipo di record. Certo, però, un ottavo titolo mondiale sarebbe la conclusione ideale di una carriera che è mitica già adesso. Perché, piaccia o no, Hamilton ha scritto una pagina indelebile della storia della Formula 1. E i numeri sono con lui, e la popolarità raggiunta pure.